Il periodo di massima circolazione degli X token è stato fra l’estate e l’autunno del 2023, ma in giro se ne vedono ancora molti.
Di solito a promuoverli c’è un’immagine di Elon Musk – e del suo brand X, mirabile sintesi di eleganza incel – in posture pensose, o che apre ecumenicamente le braccia al cosmo, o mentre è impegnato in un talk oppure in qualche gesto nerd. Molte sono pose photoshoppate o fatte con l’IA, tanto è il concetto che conta. Musk che nei suoi sogni elettrici diventa un cyborg. Musk che apre nuovi orizzonti stellari ai popoli. Musk che offre immense ricchezze a portata di imbecille.
Come tutte le criptovalute, i token sono oggetti fatti di puri bit dietro ai quali non c’è niente, a parte sequenze di cifre crittografate e i soldi che la gente è disposta a pagarle. Le criptovalute esistono solo nel e per il capitalismo digitale che, qualunque cosa sia, pare sempre più ostile a legarsi a cose reali, tipo gli schiaffi che si meriterebbero i suoi fautori.
Chi è appassionato di trading, crede alla PNL, e gode sessualmente nel farsi usare, può acquistare i token, come ogni altra criptovaluta, su pagine web brutalmente tradotte da macchine. Ma la cosa interessante degli X token è che sono molti, sono tutti la stessa cosa e sono misteriosamente legati a X e Musk.
Memecoin: l’ultima frontiera delle criptostronzate
Da un punto di vista tecnico, gli X token sono criptovalute simili a Bitcoin o Ethereum, ma rientrano nella categoria delle memecoin per via di una caratteristica: vivono intorno a meme e momenti virali dai quali prendono nomi e stili visivi.
Il caso più antico e di maggior successo tra le memecoin è Dogecoin, con cui Musk ha avuto un rapporto complicato.
La forza delle memecoin nasce e prospera con la viralità dei meme, è data dalla quantità di condivisioni, mentre il loro valore fluttua secondo domanda e offerta.
Il primo X token è uscito quando Musk ha superbamente ribrandizzato twitter, coinvolgendo mandrie di piccoli trader con il suo hype: sotto il segno della X, i nuovi crociati con Netflix condiviso hanno fatto schizzare in alto le quotazioni dell’ultima criptovaluta.
Il “nuovo” verbo era la libertà dallo Stato e dagli obblighi del progresso sociale, ma soprattutto dalle grinfie moraliste dei progressisti, in qualsiasi senso uno intenda questi concetti.
Il meme Musk/X ha girato parecchio, il mercato dei “suoi” token si è eretto a bull e in tanti grafici colorati su sfondo nero la loro parabola è schizzata verso altre galassie, senza nessun input dall’alto. Pare che dietro il primo X token ci fossero gruppi legati ad alcuni NFT ritirati dal mercato pochi mesi prima, ma niente padroni occulti.
Criptobros: maschi etero che non hanno mai abbracciato una donna
Il pubblico che viralizza Musk è del tutto simile a lui: maschi con la struttura emotiva di preadolescenti e con alcune doti cognitive che probabilmente sono solo effetti collaterali di disturbi autistici o dello sviluppo. Insomma, cose che un loro alfiere qualsiasi, o magari Vittorio Feltri, sintetizzerebbe come “ritardo mentale”.
Questa massa di nerd che vive scorreggiando dentro poltrone da gaming pagate migliaia di euro, pasteggia a energy drink, si gonfia i bicipiti segandosi sui cartoni animati o sogna di andare a Dubai con una mignotta di onlyfans, ha a sua volta bisogno di un pubblico a cui vendere.
E chi mai vorrebbe entrare nella Disagio Academy?
Siccome nella gara degli scemi i migliori arrivano secondi, e non essendoci dati in proposito, è ragionevole supporre che tra gli acquirenti di token ci siano i no vax che hanno pagato per farsi autotrasfusioni di sangue nel garage di un medico radiato, beccandosi l’epatite C. E, sicuramente, quelli che credono ai tizi su YouTube che ti insegnano a guadagnare stando un’ora al giorno a titillare il punto G dello smartphone “senza che devi imparare niente”. (E anche loro.)
Vivo morto o X
Dopo aver sdoganato porno e nazismo su X, così da far sentire a loro agio i criptobros, Musk ha continuato a vendere spazi pubblicitari a questi “imprenditori” che, speculando sulla sua immagine, la viralizzano e gli pompano hype. Questi a loro volta vendono i token con varie promesse: viaggi su Marte, la possibilità di ricevere a casa lanciafiamme o chip neurali, insomma, scam allettanti per l’ascoltatore medio della Zanzara.
Come nugoli di mosche che ronzano su una merda gigantesca, ognuno può produrre la sua ricchezza, usando per concime il meme Elon Musk.
Nel frattempo, il nuovo Twitter fresco di aborto ha perso gli inserzionisti più grossi, che non vedono di buon occhio i loro brand in timeline accanto a foto celebrative del Terzo Reich. Perciò, in questa fase, anche i miseri spiccioli degli inserzionisti minori fanno aggio al povero Elon, castrato da femministe, transessuali, attivisti post BLM, social justice ninja e alle prese con una campagna elettorale per interposta persona.
Lo scopriremo presto
Chiunque avrebbe potuto alzare qualche soldo con gli X token, anche senza sapere cosa siano, anche detestando Musk e non credendo a niente di ciò che dice. Ecco il suo dono. Ecco la sua libertà. Ma questi frutti della sua viralità sono anche e soprattutto articolazioni di X, una macchina da propaganda che, fomentando un elettorato condizionabile e attivo sui social, nell’immediato punta a far vincere Trump alle elezioni di novembre. Ma dopo?
Qual è lo schema più ampio in cui si inserisce X, insieme ai suoi figli bastardi?
Per il momento ci sono solo domande.
Musk è un ricco scemo che finge di apprezzare Hitler per compiacere la platea di sfigati che lo ascolta adorante, ma in realtà vuole solo andare su Marte, e del resto se ne sbatte il cazzo? Oppure fa sul serio, e trama con la Russia o addirittura con la Cina? Ma per fare cosa? Soldi? E quanti altri soldi pensa di voler fare? Forse Musk vuole solo manipolare il presidente degli Stati Uniti per risolvere finalmente qualche suo complesso, magari l’Edipo. Chissà.
Tra le sorprese in serbo per l’attesissimo 2025 ci sono forse anche le risposte a queste domande.