Chi usciva dall’infanzia a inizio Novanta, cioè negli stessi anni in cui Vincenzo Muccioli aveva raggiunto la popolarità di una stella del cinema, non poteva sapere cosa fosse la comunità di San Patrignano; al massimo poteva averla sentita nominare, accostata addirittura a Gandhi, Che Guevara e Malcolm X, nel verso di una famosa canzone pop. Quanto al fondatore, che nelle frequenti sortite televisive somigliava a un austero anziano dallo sguardo acceso, una specie di Peppone con ciuffo grigio e occhiali fuori scala, il suo nome era risuonato in una marcetta satirica di Paolo Rossi, in cui il comico milanese scandiva con sarcasmo militaresco “era meglio morire da piccoli, soffocati da un bacio di Muccioli, era meglio morire da piccoli, che vedere ‘sto schifo da grandi”. Pochi e confusi dettagli, che alla morte di Muccioli, nel 1995, si sarebbero più o meno inabissati per venticinque anni, insieme alla storia che si portavano dietro.
La storia di Vincenzo Muccioli e della comunità di recupero tossicodipendenti di San Patrignano è l’oggetto del documentario in cinque puntate SanPa. Luci e tenebre di San Patrignano, uscito il 30 dicembre 2020 su Netflix, firmato da Gianluca Neri, Carlo Gabardini, Paolo Bernardelli e diretto da Cosima Spender.
SanPa, felicemente ispirato, almeno nella costruzione narrativa e nella regia, a convincenti operazioni internazionali come Making a Murderer e Wild Wild Country, ha riscosso da subito un enorme successo. Una delle ragioni della riuscita del documentario, oltre al ricorso a una grande mole di materiale d’archivio e filmati dell’epoca, sta nella scelta di far fluire la storia attraverso i racconti incrociati di numerosi testimoni dotati di notevole complessità e capacità d’analisi: testimoni che, più che essere divisi tra sostenitori e avversari, mantengono viva in loro stessi la delicata coesistenza tra sostegno e disaccordo, tra riconoscenza e dissidio, tra la dolorosa rassegna delle esperienze da salvare e dei lati invece inaccettabili. Allo spettatore, poi, viene lasciato il compito di orientarsi tra le testimonianze, riconoscere quali voci seguire, discernere tra chi dice: “Ci sono regioni della vita dove vita e morte sono così strettamente a contatto e quasi intrecciate l’una con l’altra, che concetti come libertà, volontà, male, bene, vanno rivisti. Cioè bisogna avere il coraggio di non usarli come assoluti”, ovvero Fabio Cantelli – ex tossicodipendente e ospite a San Patrignano, in seguito responsabile dei rapporti con la stampa, una delle voci più lucide e toccanti della serie -, e chi dice: “Le persone che hanno accusato Muccioli sono tutti degli assassini. Lui ha fatto qualcosa di grande, per questo dovrebbe essere fatto santo”, ovvero Red Ronnie.
In una delle prime immagini, vediamo Muccioli alla testa di quello che sembra un fiume umano. Sta camminando in salita, sul viale circondato di vigneti che porta all’ingresso di San Patrignano, e la strada dietro di lui non si vede più, nascosta com’è dalle centinaia di persone che lo seguono. In quella folla potremmo anche vedere noi stessi spettatori di questi giorni, toccati dalle affinità e differenze tra i giovani volti persi e quelli più anziani, segnati e vivi; rassicurati nell’apprendere che alcuni dei tossicodipendenti di allora sono i narratori-testimoni di questa storia; curiosi di addentrarci nella serie, di seguirla poi in modo vorace e ogni minuto più interessati: sia chi si compiace di non essere riguardato da quelle tragiche fratture emotive individuali e sistemiche, da quel tipo – così evidente e osceno – di dipendenze, dalla possibilità che qualcun altro – col nostro consenso o meno – possa decidere delle nostre giornate, delle nostre eventuali libertà o punizioni; sia chi ha rivisto se stesso o una persona cara, ed è stato trascinato via da una macchina del tempo.
1 – Dipendenza.
Alla fine degli anni Settanta, con uno Stato e un apparato mediatico del tutto impreparati a ciò che sta accadendo, uno degli abusi riguarda la stessa parola “droga”, rigorosamente al singolare. “Arrestato per droga”, “Traffico di droga”, “Il demone della droga”, “Salviamo i ragazzi dalla droga”. Non esiste la minima volontà o capacità di operare una distinzione fra psichedelici e oppiacei, fra canapa ed eroina, fra sostanze che non provocano assuefazione e sostanze che la provocano. Lo stesso Vincenzo Muccioli le equipara, e le vieterebbe tutte. C’è anche chi propone un’analisi più seria, come ad esempio Joe Marrazzo nel suo documentario del 1980 Eroina S.p.a., ma operazioni di questo tipo non riescono a farsi strada nel discorso pubblico.
Muccioli dice ai tossicodipendenti suoi ospiti: “Non è la roba che viene da voi, siete voi che andate dalla roba!”. Ma è del tutto vero?
Come racconta Walter Delogu, uno dei principali testimoni della serie, ex tossicodipendente, in seguito autista, guardia del corpo e infine accusatore di Muccioli:
Fumavamo gli spinelli, come tutti. La gestione era affidata ai figli dei fiori, che portavano il fumo dall’Olanda. Poi gli hippie sono spariti ed è comparsa gente strana, gente con l’Alfetta, i capelli corti, la giacca. Vedevano che cercavamo qualcosa, e ci chiamavano loro. ‘Vuoi il fumo? Ce l’ho io!’ . Pagavamo con dieci, quindicimila lire. Come resto, spesso, ci davano una pallina di brown sugar e una siringa nuova. Poco tempo dopo, ci vedevano tornare. Stavamo male. Ci dicevano ‘Avete la scimmia, eh?’
Chi già distingueva bene tra droghe leggere e pesanti, invece, era ad esempio la mafia siciliana, che grazie alle raffinerie di eroina gestite da Francesco Marino Mannoia per conto di Riina, già a fine anni Settanta aveva organizzato una rete di diffusione capillare e lucrato enormi ricchezze; e forse anche le menti che, ancora prima che il braccio Cosa Nostra si mettesse in moto, avevano pianificato (vedi Operazione Chaos; vedi Operazione Bluemoon) o permesso di inondare di eroina le strade, ben consapevoli del ruolo decisivo che la sostanza avrebbe avuto nell’ambito della strategia della tensione.
“Questa è una famiglia, non è una comunità terapeutica”, dice Muccioli.
“Con i ragazzi in stato di down o overdose usiamo delle erbe, per lenire gli effetti della crisi di astinenza, ad esempio i massaggi con lo zafferano sono efficacissimi per sciogliere i muscoli dai crampi”.
Più di un testimone, tornando al primo periodo in comunità, ricorda di essere stato colpito dalla presenza fisica di Muccioli, quasi due metri, centotrenta chili, uno sguardo che “sembra trapassare l’aria”, un essere che restituisce la percezione di qualcosa a cui potersi affidare completamente.
I ragazzi però a volte scappano, e si disperdono nelle campagne intorno. Gli abitanti del paese di Coriano vedono comparire gente mezza nuda, senza scarpe, in stato confusionale.
I fuggitivi vengono ripresi e puniti. Nel 1980 una ragazza viene segregata per quindici giorni. Riesce a scappare. Va alla polizia e denuncia: ci sono altri ragazzi segregati nel canile.
Arrivano i primi arresti, compreso quello di Muccioli. Porteranno in seguito all’istituzione del “Processo delle catene”.
2 – Segnali.
Uno dei principali e più lucidi testimoni è Vincenzo Andreucci, giudice che si opporrà a Muccioli in entrambi i processi, quello “delle catene” (1985) e quello per l’omicidio di Roberto Maranzano (1994).
“Nascevano varie esperienze, varie comunità, in modo artigianale, da persone non esperte, non competenti in materia di psicologia, di pedagogia, di medicina, persone di buona volontà, indubbiamente, ma persone magari sprovvedute”, dice riferendosi agli albori di San Patrignano.
Andreucci incontra Muccioli in carcere durante il Processo delle catene.
Ne ricavai l’impressione di una persona complessa, sinceramente animata da buona volontà e desiderio di solidarietà e di soccorso nei confronti dei tossicodipendenti. Trassi la conclusione che dovesse essere non represso, ma portato ad evolvere. Perché vedevo come positiva l’intuizione di fondo della comunità. Furono quindi rimessi in libertà, sotto l’impegno a non ripetere mai più certi metodi.
San Patrignano comincia ad avere fuori dal cancello decine di ragazzi che, pur di essere ammessi, si accampano per giorni o settimane in tende di fortuna, in auto o all’addiaccio.
Andreucci emette un’ordinanza che blocca nuovi arrivi, perché “ulteriori ingressi avrebbero reso esponenzialmente più probabile il ricorso a determinati metodi coercitivi”. L’ordinanza viene ignorata dalla comunità e anche da molti giudici, che spediscono sempre più spesso in comunità i giovani agli arresti domiciliari.
Andreucci: “Il controllo e l’uso dei mezzi coercitivi non erano accidenti di percorso, ma erano strutturali, facevano parte della mentalità, della cultura della comunità. L’uso delle catene e della segregazione sono mezzi contrari al senso di umanità. Di fronte a questi fatti la magistratura non poteva far finta di niente”.
“Io non sono un medium. Sono anche un medium”, dice Muccioli.
Pier Andrea Muccioli, fratello di Vincenzo, è una figura piuttosto distaccata, che nella vita si è occupata di geologia e non ha avuto a che fare con la comunità. Afferma che la cooperativa San Patrignano viene fondata da Vincenzo insieme ai compagni di sedute: “Curavano la gente con pozioni, cose del genere, poi si sono specializzati nella cura dei tossicodipendenti”.
Continua Andreucci: “Il famoso cenacolo in cui Muccioli era medium e parlava a nome del ‘raggio cristico’, consente di individuare in lui una figura carismatica con capacità di persuasione, convincimento e autorità, quindi al di sopra di tutte le altre, gli adepti, che entrano sostanzialmente in un rapporto di dipendenza”.
3 – Contraddittorio.
A questi disgraziati, giunti sulla collina come larve umane, non fu chiesto un soldo, e anzi fu offerto un tetto, del cibo, un lavoro, una salvezza / No, quell’esercito di lavoratori, non pagati e non garantiti, fu solo manovalanza a basso costo utile a trasformare un casale scalcinato in una gigantesca azienda delle dimensioni di una cittadina, e a far accumulare enorme potere e ricchezze al loro padrone.
Ragazzi destinati, nel mondo fuori, a un sicuro naufragio, a San Patrignano ritrovarono la dignità / Certo, venendo irreggimentati mediante lavaggio del cervello, punizioni corporali e psicologiche.
Erano i ragazzi stessi a chiedere di essere bloccati proprio durante le crisi, cioè quando si rendeva necessario un metodo duro, ed era il motivo stesso per cui erano ricorsi alla comunità / Si rendeva necessario anche tenerli in catene, al freddo, in una cantina o in un canile?
Lo Stato che doveva farsene carico è lo stesso che ancora oggi, quarant’anni dopo, brancola nel buio e non ha escogitato niente di meglio che un generico proibizionismo / Certo, meglio affidare il problema della tossicodipendenza a un imprenditore privato che passa per salvatore e in realtà costruisce con soluzioni militaresche un nuovo fronte reazionario.
Di fronte a uno Stato immobile e indifferente, che si liberava dei tossici gettandoli in strada dopo qualche dose di metadone, a San Patrignano si aveva il coraggio di non sedare nessuno, ma anzi di far tornare a vivere / Tutt’altro, l’unico metodo di Muccioli era agire come depositario di una verità sacra e inconfutabile, chiudendosi ermeticamente verso i servizi territoriali o qualsiasi supporto medico, psicologico, psichiatrico, scientifico alternativo, oltre a ignorare le esperienze basate su metodi non coercitivi come Le Colmate in Valdinievole, l’Associazione Genitori Gruppo Incontro a Pistoia, la Comunità San Benedetto fondata da don Andrea Gallo, il gruppo Abele di Luigi Ciotti o la Saman di Mauro Rostagno.
San Patrignano arrivò in soccorso dove avevano fallito i genitori sessantottini o le altre comunità dai metodi più blandi / No, San Patrignano lavò la coscienza di quei genitori, e raddoppiò i loro errori con il carico repressivo, sempre sulle spalle dei figli.
Muccioli, una volta ristabiliti, dava ruoli di responsabilità non a medici o psicologi (che sembrava vivessero su Marte, tanto erano in ritardo), ma a coloro che più di tutti potevano comprendere il problema, cioè gli ex tossici stessi / ma certo, circondandosi così di un plotone di leali colonnelli, che avevano sostituito la dipendenza dall’eroina con la dipendenza da lui.
4 – Televisione.
La personalità straripante di Muccioli si sposa alla perfezione con il palcoscenico, la telecamera, il pubblico. Dalla metà degli anni Ottanta, le apparizioni televisive non si contano più.
Pippo Baudo, al termine di un bizzarro rilevamento per eleggere l’italiano più “bravo”(sic), proclama Muccioli vittorioso su Giorgio Armani, Valentino, Gianni Versace.
Mike Bongiorno, in una festosa atmosfera da tombola, offre i risultati di un sondaggio sul “Processo delle catene”: “Gli italiani che credono che Muccioli sia innocente corrispondono a questa percentuale: novantadue per centooooooooooo!”
“A mio figlio hanno dato tre bottiglie di metadone, l’hanno arrestato e messo in galera: questo è l’aiuto che mi ha dato lo Stato”, dice Paolo Villaggio, ospite di una trasmissione tv, in difesa di Muccioli, mentre il figlio Pierfrancesco viene a volte inquadrato tra il pubblico.
Da Costanzo, in un clima più che rilassato, Muccioli siede sul palco. A turno vengono intervistati gli ospiti di San Patrignano. Costanzo chiede a un ex tossicodipendente: “Dopo quanto volevi andar via da San Patrignano?”
“Dopo due giorni, credo.”
Risate del pubblico, di Muccioli, degli altri ex tossicodipendenti.
“Ricordi una frase sgradevole?”
“Si, mi disse, vatti a far la barba e la doccia!”
Ride il pubblico, ride forte Muccioli.
Lo stesso Costanzo, in un baleno di lucidità, chiede al pubblico che affolla la sala: “Ma perché ridete, scusate?” Ma è solo lo spunto per ricominciare a fare ironia, in un clima ancora più rilassato.
5 – Moratti.
È quando Muccioli viene arrestato per la prima volta, nel 1980, mentre la comunità si stringe e cerca di andare avanti da sola, che Gian Marco Moratti e la moglie Letizia decidono di scendere da Milano e di stabilirsi direttamente a San Patrignano. Hanno conosciuto Muccioli nel 1979, e il colpo di fulmine è stato istantaneo. Già nel 1982, quando gli ospiti non superano le trecento unità, i Moratti sono i principali finanziatori. Negli impianti Saras di Gian Marco Moratti, figlio del petroliere Angelo e fratello del futuro presidente dell’Inter Massimo, si raffina circa il 15% del petrolio italiano. Poco dopo il suo arrivo in comunità, Moratti insulta il giornalista Luciano Nigro, che sull’Unità aveva scritto un articolo critico sui metodi di Muccioli.
Nel 1987, durante l’appello del Processo delle catene, Moratti assume i migliori avvocati sulla piazza. Muccioli viene assolto. La moglie Letizia dirà che “chi manda i ragazzi a San Patrignano sa benissimo che sono casi così difficili, che non ce l’hanno mai fatta in altre comunità aperte e libere”.
Dal 1980 al 2010 i Moratti hanno donato, secondo Andrea Muccioli, circa 286 milioni di euro.
6 – Red Ronnie.
“Io ritengo di essere un animale”, dice Red Ronnie. “Non ragiono con la testa. Ragiono con l’istinto e col cuore. Appena ho visto Muccioli l’ho annusato, d’istinto. E ho detto: sono al tuo servizio. Ho deciso che sarei diventato un soldato, pronto a difendere Muccioli e San Patrignano”.
Red Ronnie riproduce un nastro con le parole di Enrico Maria Salerno, e lo fa ascoltare al figlio dell’attore, ex tossicodipendente: “Questo mio povero figlio che disperatamente cerco di salvare, ma non mi pare ci siano possibilità, per cui gli auguro una serena e dolce morte”. Red Ronnie stoppa e si rivolge al figlio, davanti a lui: “Ma tu sei vivo!” “Si sono vivo! Mio padre non mi è amico come mi è amico Vincenzo”.
Red Ronnie intervista un Indro Montanelli particolarmente euforico: “A Muccioli bisognerebbe dare una medaglia d’oro! Ci sono momenti in cui a un drogato bisogna dare un manrovescio e anche legarlo con le catene, io approvo in pieno! L’educazione è crudeltà”.
Risponderà Muccioli: “Montanelli è un uomo che ha le palle, un grand’uomo”.
Nel periodo del Processo delle Catene, la telecamera di Red Ronnie segue i giudici in visita a San Patrignano, mentre Muccioli mostra loro orgoglioso le stalle delle vacche in gestazione, alani arlecchino “campioni del mondo”, cavalli argentini di inestimabile valore. Red Ronnie chiede a uno dei giudici “Adesso siete ancora convinti di catene e robe del genere?” e il giudice scuote la testa e liquida la domanda con un “Mpf” che potrebbe aprirsi a varie interpretazioni, tra cui: “Non è la sede per rispondere”, o: “La sua domanda è di un’idiozia rara”, o anche: “Le pare che ce le avrebbero fatte trovare e mostrate?”
Red Ronnie chiede a una bellissima ragazza con lo sguardo perso nel vuoto e la pelle rovinata: “Accetteresti di stare 15 giorni in catene, pur di entrare?”
“Incatenata finché sono in astinenza, però… Che mangio normalmente… Non come nelle galere di una volta… Incatenata, ma per non scappare… Allora mi sta bene…”
Un giorno una ragazza scappa dalla comunità. Un cameraman di Red Ronnie la trova, e lo informa. Red Ronnie a sua volta chiama Muccioli, che gli intima di bloccare la ragazza e di attenderlo, li raggiungerà subito. È una giornata d’estate. Davanti alla telecamera, preventivamente organizzata, si ritrovano in strada, in maglietta, Muccioli, Red Ronnie e la ragazza. Red Ronnie regge il microfono e Muccioli parla della ragazza, che però è seduta ai loro piedi, sugli scalini, con la testa tra le mani. La scena assume i contorni inquietanti di uno spot autoprodotto, allestito come un monologo in presenza di una persona disperata e non in grado di parlare. Muccioli fa alzare la ragazza e la abbraccia, anzi, la solleva di peso. Lei reagisce con un lamento. Muccioli ride, Red Ronnie anche. “Dove vuoi andare? Andiamo, pistolino! Ti senti male? Eh lo so che ti senti male. Se ti sei bucata con qualcuno dobbiam fare le analisi eh! Bucalona!”
Muccioli tiene stretta la ragazza, finge di parlarle ma sta parlando da solo. Le dà tre pacche sul sedere. “Un bacio, me lo dai? Ah non vuoi tornare? Vuoi tornare con l’omarino, che ti paga la notte, ti fai due buchi e non ci pensi più?”
Muccioli se ne va con la ragazza sottobraccio dicendo: “Eeeh, sti figli… Seicento! Troppo prolifico, son stato!” Red Ronnie ride di gusto, lo saluta con un: “Ciao, bello!” mentre la Volvo blu si mette in moto e riprende la strada.
7 – Numeri (fonte: Repubblica).
Nel 1994, un anno prima della morte del fondatore, San Patrignano ha 221 ettari, 2165 “abitanti”, 700 sieropositivi, 145 bambini nati lì dentro. Le vigne producono 3.000 quintali di uva. Su 400 bovini, cento mucche danno 900mila litri di latte, un terzo va in formaggi, il resto venduto alla centrale di Rimini. 300 cani di razza allevati, 500 maiali, 300 cavalli di razza (con una pista di sabbia, tre maneggi di cui uno coperto con 3.000 posti). Ricavi per 31 miliardi di lire, 8,7 da attività produttive e autoconsumo, 540 milioni da “proventi vari”, 4,3 dallo Stato, 17,5 da donazioni. Patrimonio immobiliare di 42 miliardi e 600 milioni.
Nei libri paga sono segnati 177 ragazzi (che guadagnano circa 1 milione e 200mila al mese) e 60 dipendenti esterni. 30 medici e psicologi che collaborano, oltre 10 infermieri professionali.
Nel 2011, quando il figlio Andrea lascia e la famiglia Muccioli esce di scena, ha un bilancio di 30,10 milioni di euro (14,7 dei quali donazione dei Moratti), 350mila bottiglie di vino prodotte all’anno, 1.500 pasti preparati per il pranzo e altrettanti per la cena.
8 – Padri.
Fin dal Processo delle Catene (1985) Muccioli è un personaggio molto popolare, invitato ovunque, richiestissimo. In televisione è perfettamente a suo agio. È raro che perda la calma. Accade però in un’occasione, quando un giornalista in vena di critiche afferma: “Qui stiamo confondendo la figura di padre con quella di terapeuta”. Muccioli ruggisce: “La mia terapia è fare il padre di famiglia, responsabilmente, offrendo me stesso a questa gente come l’ho offerto ai miei figli!”.
Il padre Vincenzo Muccioli nei primi anni dice: “Li curiamo con iniezioni potentissime: amore, si chiama. E fiducia, comprensione, non giudizio.”
Questi figli, però, sono difficili da capire, si preferisce non vedere, possono fare anche paura.
Una signora del vicino paese di Coriano, intervistata nei primi anni Ottanta, offre una risposta valida per una varietà di circostanze e soggetti decisamente più attuali, ma lo fa con una specie di ritrosia – forse deferenza per la telecamera, forse consapevolezza che gli oggetti del suo discorso sono comunque persone – che a vederla con gli occhi di oggi fa tenerezza: “Questo è un paesino di campagna che la gente rimane… come devo dire… non che abbia paura, però…”
Migliaia di genitori invocano metodi duri e si scagliano contro lo Stato inerte.
Parla un altro signore, forse un visionario, profeta dei tempi a venire: “Ben vengano le catene di San Patrignano, fosse stata una tortura ancora più arcaica, a me andava bene lo stesso”.
La comunità si afferma in un’Italia che i tossici preferirebbe non vederli; la soluzione migliore è senza dubbio delegare a qualcuno, meglio se un coscienzioso padre dal polso ben fermo, su una collina lontana da tutti.
Il padre Muccioli dice: “Quando sento gente avanzare richieste, diritti… Ma quali diritti? Quali?”
“Se il settore in cui lavorate non vi piace, meglio! Perché più vi impegnate a far le cose anche sgradite, più imparate ad allenarvi, a vivere i doveri.”
Il padre blocca tutte le lettere in arrivo o in partenza. Dopo averle lette, valuta se possano intralciare o meno il percorso riabilitativo dell’ospite; e decide se cestinarle o no.
Il padre decide, nell’estate 1985, di fare il test dell’AIDS su tutti gli ospiti. Due terzi di loro risulteranno positivi, ma i risultati dovranno restare segreti. Sarebbe stato direttamente lui, Muccioli, a comunicarlo ai diretti interessati quando avrebbe ritenuto che fossero pronti a ricevere quella che sostanzialmente era una sentenza di morte.
Nel 1989, quattro anni dopo, Fabio Cantelli studia filosofia a Bologna. Ha una relazione stabile con una donna, e la cosa è nota a Muccioli da tempo. Si occupa anche, per conto della comunità, dei turni di assistenza in ospedale ai malati di AIDS. Una mattina torna a San Patrignano. Muccioli lo vede dalla sua Land Rover e lo chiama a sé. Gli chiede come vanno le cose a Bologna. Cantelli parla di alcuni malati di AIDS a cui sono rimaste poche settimane di vita. A quel punto Muccioli dice: “A proposito: i sieropositivi non faranno più assistenza ai malati. Quindi da domani, tu puoi dedicarti alla tua filosofia”. Cantelli resta incredulo e impietrito. Muccioli lo abbraccia, lo bacia e riparte con la sua jeep.
Nel 1989, la voce registrata del padre Vincenzo Muccioli, riferendosi a un testimone dell’omicidio Maranzano, dice: “Bisognerebbe mandarlo a casa per un po’, poi seguirlo, sapere dove va. Dopo cinque o sei giorni che è a casa, bazzicare da quelle parti… Poi beccarlo, e sparargli. Mettergli due grammi di eroina e un po’ di stricnina, così va in overdose”.
Il figlio Andrea sostiene che la cassetta sia: “Una buffonata. Ma sai quante volte ho sentito mio padre dire ‘Quella lì bisognerebbe prenderla e scioglierla nell’acido’? Ma da quando ero bambino! Io non mi impressionavo perché sapevo che mio padre era così… Amava l’iperbole!”
9 – Metodi.
La principale teoria difensiva di Muccioli, diffusa come un verbo tra le folle di adoratori, adepti, finanziatori, sostenitori, è composta da alcune varianti di un unico concetto: “Se devo salvarti la vita, cosa che mi hai chiesto tu, devo poterlo fare con ogni mezzo”, “Ogni libertà ha un prezzo”, “La notizia non è che siano morte alcune persone per suicidio o omicidio, ma che altre migliaia siano sopravvissute”.
Le umiliazioni pubbliche hanno lo scopo di distruggere una personalità accentuata, particolare, o fuori dagli schemi, e ricondurla a conformarsi alle modalità caratteriali previste dalla comunità.
Tra i metodi di umiliazione pubblica figura “il Ciocco”: un esempio si ha durante la lettura a voce alta, con tono di scherno, di fronte a tutta la comunità, dei sofferti scritti personali che Fabio Cantelli aveva privatamente dato da leggere a Muccioli. O il “Sole piatti”: due schiaffoni a mano aperta sulle orecchie, sempre davanti a tutti, come due piatti da banda che sbattono però su una testa umana.
In caso di una qualsiasi contestazione delle regole, le pene, oltre al “Ciocco” e al “Sole piatti”, portano alla reclusione in piccionaie di due metri per due, o nella cella della pellicceria, fino alla chiusura della persona nei tini per il vino.
Dopo ogni umiliazione pubblica, si può essere accolti di nuovo, come un figliol prodigo dall’individualità finalmente ricomposta e corretta.
Col tempo, alle umiliazioni pubbliche si somma l’organizzazione di veri e propri reparti punitivi, come la “macelleria”, la “tessitura”, la “manutenzione”, teoricamente solo unità di lavoro, ma dove in realtà la rieducazione passa attraverso la violenza sistematica dei vari capireparto, “Michelone”, “Mandingo”, Francesco Capogreco, Alfio Russo. Quest’ultimo sancisce il culmine delle violenze, uccidendo nel 1989 Roberto Maranzano.
10 – Voci/Fatti.
Una voce: Muccioli era omosessuale.
Una voce: Muccioli morì di AIDS.
Un fatto: né all’anziana madre, né al fratello Pier Andrea, è stata mai rivelata la causa della morte di Muccioli.
Un fatto: Muccioli si era procurato delle stimmate con un trincetto.
Un fatto: Muccioli era dotato di carisma, e molti ragazzi, ospiti di San Patrignano e poi usciti, ritengono di dovergli la vita.
Alcuni fatti: Muccioli nega, nel novembre 1980, di avere in cassaforte duecento milioni in contanti, donati dai Moratti; poi lo ammette. Nega di essere a conoscenza delle ricorrenti, metodiche violenze nei reparti punitivi; poi lo ammette. Nega di sapere che Roberto Maranzano è stato ucciso da Alfio Russo, responsabile del reparto macelleria; poi lo ammette. Nega di aver dato 150 milioni di lire a Walter Delogu perché non raccontasse la vera storia dell’omicidio Maranzano; poi lo ammette.
Un fatto: tutt’ora il centralino della comunità continua a ricevere chiamate di chi sulla collina vuole portare un figlio, o se stesso.