Accade spesso che la percezione popolare di alcune figure cambi nel tempo, e così oggi molte persone vogliono la rimozione della statua dedicata a Indro Montanelli.
Queste persone non riconoscono alcun valore all’ostinato rifiuto opposto all’odiato Caimano dal giornalista ormai al tramonto, rifiuto che però ha garantito a quest’ultimo un patentino di stima ben accetto nei salotti buoni del giornalismo autorevole.
Ed ecco dunque la levata di scudi a favore di Montanelli da parte di tutti coloro, in particolare giornalisti, che vedono nell’ondata di disprezzo un insulto all’anziano reduce di mille guerre, saggio emblema delle contraddizioni e della complessità dell’intero Novecento.
La principale argomentazione degli apologeti è dichiarare che, in sostanza, “così facevan tutti”, e che la visione razzista delle società e degli esseri umani era, all’altezza del colonialismo fascista, pensiero dominante e necessario.
Sarebbe perciò un’ingiustizia anacronistica disprezzare Montanelli, puro interprete dello Zeitgeist, per aver sostenuto con vigore la penetrazione militare dell’Italia in Africa. Montanelli sarebbe stato incolpevole anche per il matrimonio con Destà, una ragazzina etiope, sì dodicenne e infibulata, ma comunque regolarmente scambiata con denaro e altri beni, in scrupoloso ossequio ai costumi locali.
Una cosa da fare a Amsterdam
Appena potremo di nuovo allontanarci dalle nostre miserie, un posto da rivedere potrebbe essere Amsterdam, dove, oltre a constatare di nuovo che l’erba olandese è troppo forte, potremmo magari anche percorrere il Torensluis, il ponte più antico della città. Qui troveremmo una statua dal dinamismo curioso e un po’ boccioniano, che raffigura un busto privo di braccia dalla testa grossa e accigliata, proteso in avanti a sfidare il destino. Come recita la laconica incisione sul piedistallo, nella storia verso cui era diretto quell’uomo è rimasto noto come Multatuli.

Multatuli, che in latino significa “Molte cose ho sopportato”, è il nome invero un po’ melodrammatico scelto da Eduard Douwes Dekker per pubblicare nel 1860 il suo romanzo Max Havelaar ovvero Le aste del caffè della Società di commercio olandese. Con questo libro, Dekker mise a nudo la realtà del dominio coloniale dell’Olanda sulle Indie orientali, che solo nel 1949 sarebbero diventate la Repubblica d’Indonesia.
La cattiva coscienza del colonialismo tropicale
Nel XVII secolo, attraverso la Compagnia olandese delle Indie Orientali, il minuscolo regno d’Olanda era riuscito a stabilirsi a Giacarta, assumendo il controllo dello stretto della Sonda, strategico crocevia verso le Molucche, le Isole delle Spezie.
Oltre che per controllare i commerci, gli Olandesi trovarono in Giava un luogo ideale anche per impiantare tè e caffè, che stavano diventando bevande globali, e poi il pepe, la canna da zucchero e l’Indigofera tinctoria, che dava il prezioso indaco.

Sumatra, Giava, il Borneo, le Sulawesi erano all’epoca divise in tanti piccoli regni, ognuno col suo piccolo re e i suoi piccoli nobili, tutti intrecciati da grovigli antichi di elargizioni, prebende e legami servili.
Facendo leva su questo sistema, dove era consuetudine che i sudditi lavorassero nei campi dei nobili, o nei propri campi ma per i nobili, gli Olandesi indussero le gerarchie indigene a favorire le coltivazioni commerciali penalizzando il riso, che però sfamava la maggioranza della popolazione. Oltretutto riuscirono a estorcere lavoro in cambio di nulla, perché fu stabilito che un quinto delle terre, e il lavoro che richiedevano, fosse destinato alle piantagioni olandesi.
Eduard Douwes Dekker, un olandese del suo tempo
Dekker, originario di Amsterdam, fu un funzionario delle Indie Orientali a Sumatra, a Giava e infine alle Sulawesi, ed ebbe sempre parecchi problemi. Fu accusato di aver perso soldi, minando dunque l’impalcatura morale e civile dell’Olanda, ma soprattutto fu emarginato perché metteva in pericolo, volendolo denunciare, l’odioso sistema di sfruttamento dei nativi.
E così, deluso e indignato, assemblando poesie, elenchi, lettere, documenti contabili, Dekker scrisse Max Havelaar, un pastiche bizzarro, farsesco e drammatico che mostra le tribolazioni di un uomo sano e razionale davanti all’ipocrisia, all’ottusità e alla violenza del sistema coloniale olandese.

Il libro ebbe subito successo per lo stile, ma anche perché seppe spazzare via in un colpo solo una visione del mondo falsa, brutale e fallimentare.
Dopo che Max Havelaar fu pubblicato e letto, almeno in Olanda non era più possibile raccontare balle a proposito del bene che si pretendeva di fare a quelle “infelici creature che in lidi remoti giacciono avvinte nei ceppi della miscredenza, della superstizione e dell’immoralità”.
Statue che rimangono
A differenza di molti suoi contemporanei, Eduard Douwes Dekker vide chiaramente il colonialismo per ciò che era, ossia come di lì a poco lo avrebbero visto anche molti Olandesi, e come oggi lo vediamo o dovremmo vederlo noi. Dekker non fu un interprete del suo tempo, ma un anticipatore e un fautore di quello che sarebbe stato, e per questo gli è stata dedicata una statua.
Si potrebbe scommettere che nessuno oserà mai proporre di rimuovere la statua di Multatuli che, magari meno di altri, ma a suo modo ha fatto avanzare di un passo la storia e gli esseri umani che aveva intorno.
Al contrario, cosa c’è di strano se oggi, in Italia, molte persone non vogliono più che sia reso onore alla figura e alla statua di Montanelli, sepolcro triste assiso sul suo tempo?
