Don’t F**k with Cats
Genere: documentario – miniserie – crime
Stagioni: 1
Episodi: 3
On: Netflix
Il sogno di ogni nerd
Don’t F**k with Cats è un documentario in 3 puntate che ricostruisce le indagini e la cattura, avvenuta nel 2012, dell’omicida canadese Luka Rocco Magnotta.
Tutto ha inizio nel 2010, con un post su Facebook contenente il link a “1 boy 2 kittens”, video dove si vede un giovane, a volto semicoperto, che uccide due cuccioli di gatto. La modalità è particolarmente crudele: li mette in un sacco di plastica, da cui poi toglie l’aria con un aspirapolvere. L’assassino ha così violato la “rule zero” di internet: fai qualsiasi cosa, ma don’t fuck with cats.
Le bacheche dei social si incendiano di rabbia e indignazione, e a mobilitarsi per smascherare il colpevole è un gruppo di detective-nerd amatoriali, due dei quali, un uomo e una donna di mezza età, sono anche i narratori principali del documentario. Deanna Thompson (a.k.a. Baudi Moovan) e John Green (a.k.a. John Green), questi i loro nomi, si trovano dunque di fronte a un reato minore che, non essendo chiaro dove sia avvenuto, non vedrà mai le forze dell’ordine impegnarsi a risolverlo. Come nei loro sogni, tocca ai nerd risolvere il caso.
I due formano un gruppo su Facebook, dove insieme ad altri utenti condividono le loro analisi dei dettagli del video. Il primo passo è collocare geograficamente l’assassino, e si assiste così a una frenetica caccia su siti e forum alla ricerca di pacchetti di sigarette, prese di corrente, marche di aspirapolvere, coperte con stampe di lupi e quant’altro si intraveda nei pixel del video. Amazon, google maps, forum vari su oggetti, servizi e prodotti diventano campi e strumenti delle appassionate indagini di questi detective, armati solo di laptop e connessioni internet.
Prova a prendermi
Al primo video segue un secondo, in cui si vede la stessa persona, di nuovo camuffata ma identificabile con il soggetto del video precedente, annegare un gattino in una vasca da bagno. Segue anche un terzo video, in cui un altro micio viene dato in pasto a un pitone.
Da una serie di indizi ricavati dall’account Facebook dove vengono caricati i video, tra cui i like ad alcuni spezzoni del film Prova a prendermi, appare chiaro che il “mostro” vuole farsi inseguire.
Al gruppo di detective si aggiungono ben presto altri soggetti, e il raggio delle ricerche si allarga, ma gli esiti di questa fase si rivelano decisamente rovinosi. Lo zoccolo duro, però, non molla e all’improvviso, in mezzo a centinaia di false piste sull’identità dell’assassino di gattini, alla community arriva una segnalazione: il loro uomo potrebbe essere Luka Rocco Magnotta, un biondino dall’aspetto curato, stile metrosexual, sul quale si trovano migliaia di notizie online.
Non è chiaro cosa sia di preciso Magnotta (modello, attore, gigolo, sedicente fiamma di Madonna), o dove viva, ma la sensazione è che si tratti di un wannabe alla disperata ricerca di visibilità. Molte delle foto che lo ritraggono in giro per il mondo risultano infatti fotomontaggi, e i commenti ai suoi video su youtube provengono da account falsi, probabilmente creati da lui stesso.
Nel frattempo, le ricerche hanno collocato Magnotta in Canada, a Toronto: finalmente c’è una giurisdizione e dunque un dipartimento di polizia a cui rivolgersi.
Oggi, grazie alla sterminata mole di informazioni sulla psicologia dei killer liberamente reperibili online, è ormai noto a tutti, e non solo ai criminologi, che le violenze sugli animali sono spesso il primo passo nella carriera degli assassini seriali. Perciò, i gattini potrebbero presto essere sostituiti da esseri umani. Ma sono dati sufficienti per dimostrare la pericolosità del soggetto? Chi può dire se Magnotta sia davvero un potenziale serial killer?
I primi contatti con i poliziotti sembrano positivi, ma la situazione entra presto in stallo: infatti, Magnotta non si trova più a Toronto.
“Holy shit this is really real!”
Il 25 maggio 2012 compare su bestgore.com un video di 11 minuti dove un uomo legato a un letto viene massacrato a colpi di pugnale e decapitato. Il 29 maggio 2012, alla sede di Ottawa del Partito Conservatore del Canada, giunge un pacco contenente un piede amputato. Lo stesso giorno, un altro pacco con all’interno una mano viene intercettato presso un ufficio postale. Infine, sempre il 29 maggio, viene ritrovata una valigia contenente un torso smembrato e poi altri involucri, dove gli investigatori trovano resti umani, la probabile arma del delitto, e una serie di indizi che puntano proprio su Luka Magnotta.
Presto anche la vittima è identificata: si tratta di Jun Lin, ventiquattrenne cinese che Magnotta avrebbe adescato tramite un annuncio su un sito di incontri.
Finalmente la polizia comincia a prendere sul serio le informazioni che i nerd avevano raccolto seguendo la lunga pista di indizi lasciati da quello che, fino ad allora, era soltanto il famigerato killer dei gattini. Le molliche di pane porteranno le ricerche in Europa, prima a Parigi e infine a Berlino, dove Magnotta sarà catturato mentre è intento a cercare notizie su di sé al computer di un internet point.
PostmoNERDismo
L’idea che esistano codici da decrittare, chiavi in grado di risolvere enigmi, puzzle che attendono solo di essere ricomposti, e che le soluzioni siano a disposizione di chiunque abbia la voglia, la forza e la fede necessarie a trovarle, sono idee allettanti e tipicamente postmoderne.
Nel 1988, con Il pendolo di Foucault, Umberto Eco aveva messo in scena la tentacolare ricerca amatoriale di un senso della storia e del mondo, mettendo al contempo in guardia sui rischi che essa comporta. I grandi giochi pensati per approfittarsi delle piccole menti, infatti, possono sfuggire di mano ai loro stessi artefici, e cominciare a influenzare la realtà. Le teorie accorpate sotto il nome di Qanon, se davvero hanno avuto origine da un’azione di trolling, ne sono solo l’esempio più recente.
I dilettanti dell’occulto che nel Pendolo vengono attratti dalle edizioni Manuzio, sono soggetti tendenzialmente solitari, eccentrici, esclusi. Rappresentano anche l’archetipo del nerd, del solitario navigatore autodidatta, erudito e appassionato di argomenti di nicchia, sempre alla ricerca di informazioni rilevanti (almeno per i suoi interessi) e di consimili con cui condividerle ed elaborarle. Sempre alla ricerca, anche, di misteri e trame da risolvere.
Fa impressione vedere come i detective improvvisati abbiano raccolto interi archivi di informazioni sul loro sospetto, al punto di saperne addirittura riconoscere lo stile di scrittura negli annunci online, o di prevederne le mosse. Persino l’alibi che Magnotta cercherà di sfruttare per giustificarsi — alibi al quale soltanto sua madre darà credito — risulterà essere una clamorosa invenzione nata dalle sue fantasie di identificazione con il personaggio di un film. E saranno proprio i nerd a scoprirlo.
Dubbi circolari
Già dal titolo, Don’t F**k with Cats prende di petto l’aspetto più ridicolo di tutta la vicenda: non c’è niente di positivo o di sano nell’uccidere animali per divertimento, o anche solo nel vederlo fare; eppure, c’è qualcosa di assurdo nella smodata emotività che molte persone, specie le più sole e alienate, tendono a riversare sugli animali, soprattutto sui cuccioli. I famigerati “gattini” sono un emblema di tutto questo.
Viene da chiedersi se l’omicidio di un omosessuale asiatico, compiuto in circostanze e luogo ignoti, avrebbe toccato le stesse corde, con la stessa forza, dell’uccisione di innocenti micetti. Nel documentario c’è un crescendo di dolore e coinvolgimento, dai massacri dei gatti all’omicidio di Jun Lin, ma questa progressione è una strategia degli sceneggiatori, o davvero rispecchia la sensibilità dominante?
Il dubbio più angosciante, però, lo esprime chiaramente Deanna, quando dice che dopo l’omicidio, invece di chiedersi se avesse fatto abbastanza, a un tratto ha cominciato a domandarsi se per caso non avesse fatto troppo. Magnotta cercava attenzione, voleva essere seguito — aveva bisogno di follower — e forse era stata proprio la grande caccia all’assassino dei gattini a convincerlo a uccidere un essere umano.
Forse, in un perverso e postmoderno circolo vizioso, proprio la caccia all’assassino potenziale ha effettivamente provocato l’omicidio. Forse, proprio la voglia di smascherare un omicida ha finito per crearne uno.