Per affrontare un mondo già ampiamente analizzato, sezionato, evocato, serviva un taglio diverso. L’esperimento di “No Music On Weekends” di Gabriele Merlini (effequ) è un’impostazione ibrida, oscillante tra il memoir e la cronaca, tra il saggio e il romanzo, tra la ricognizione storiografica e una lunga sfilata di band del cuore; si viaggia tra Radio Alice e il CBGB’s, tra la Rokkoteca Brighton e il parco Lambro, tra l’Hacienda dei New Order e l’Eric’s di Liverpool.
I passeggeri del treno si chiamano, tra gli altri, Talking Heads, Joy Division, Pink Military, Television, Gaznevada, Orchestral Manoeuvres In The Dark, Neon, Flying Lizards; il risultato è un atlante personale di precisione enciclopedica dove gli indizi biografici sono il collante di un mosaico che è insieme musicale (una – buona – parte della New Wave e delle sue ramificazioni), geografico (Bologna; Firenze; Milano; New York; Londra e molte fertili città inglesi), storico (gli anni di piombo italiani pronti a scivolare nel riflusso; le turbolenze – pre e post punk – britanniche e americane; il primo mandato di Thatcher e Reagan) e privato.
Giulio Pedani
No Music on Weekends – Storia di parte della New Wave (effequ, 2020)
di Gabriele Merlini
Nel 1977 piove in continuazione, ma non è dato sapere se la faccenda sia collegata con l’uscita di Marquee Moon dei Television, Suicide dei Suicide e 1977 dei Talking Heads. Prodotti non sovrapponibili, eppure un elemento in comune ce l’hanno ed è identificabile nella frequentazione condivisa di questo posto nel Lower East Side di New York il cui nome suona strano: CBGB o Country Blue Grass Blues and Other Music For Uplifting Gourmandizers. Lì dove gli sciamani tramandano sia nata ogni cosa dal fango primigenio, forse perché gonfiare l’epica metropolitana aiuta a scolpirla nel marmo dei cervelli di chi non c’era.
La tenda è bianca e la scritta rossa, spazio iconico tra graffiti e intonaco grattugiato, il CBCG di New York lo gestisce un tizio chiamato Hilly che è il classico burbero urbano con la t-shirt tesa sulla pancia e ogni tanto i vetri si rompono senza motivo, però le ragazzine che lavorano per lui sono cortesi tra bottigliate e tavolini che saltano come petardi (“avrei tanto voluto chiamarlo zietto”). Le adocchi sui treni della notte mentre rincasano e sorridono agli sconosciuti che allungano il metadone per disintossicarsi.
Gli Stati Uniti hanno sofferto l’ascesa dei punk britannici, più cool e sul pezzo dei corrispettivi d’oltreoceano, ma restano personaggi in possesso di ottime armi con cui rispondere al fuoco.
Una è la malattia mentale: ci sarà sempre modo di attaccare briga. Questi qui, per dirne una, all’inizio erano davvero prestigiosi.
Tell me who sends these infamous gifts.
Television, Guiding Light
To make such a promise and make such a slip.
I Neon Boys sono il cantante e chitarrista Tom Verlaine, il bassista Richard Hell e il batterista Billy Ficca: nel 1971 ci provano a fare qualcosa di ascoltabile. Lo scioglimento dei Neon Boys corrisponde circa con l’entrata in scena di Richard Lloyd. Il nuovo progetto si chiamerà Television e partirà al CBGB pochi anni dopo.
Minimi spunti programmatici quando soffio sulla tazza di caffè bollente che mi viene gentilmente offerta. Come la vicenda andrà avanti, posso prevederlo con facilità.
Brian Eno, che in città sarebbe dovuto rimanere giusto qualche settimana ma sono mesi che nidifica, apprezza lo spirito dei Television e registra per loro un demo. Richard Hell saluta e forma gli Heartbreakers con Johnny Thunders, ex New York Dolls. Al posto di Hell nei Television si presenterà Fred Smith che ha mollato un’altra band cittadina con discreta fama: si chiamano Blondie.
Nel 1976 i Television firmano un contratto con la Elektra di Jac Holzman e Paul Rickholt. Dodici mesi di gestazione ed esce Marquee Moon, album con il quale sarà necessario andare oltre l’idea di new wave, no wave, art rock e post-punk per consegnarsi all’immortalità (c’è chi ci prova una vita, chi la indovina subito. Ogni tanto il mondo è proprio ingiusto).
Al pari, ma con fortune diverse, arrivano da New York Martin Reverby e Boruch A. Bermowitz che fanno conoscenza nel 1971 al Project of Living Artists di Soho. Martin è un jazzista e Boruch fa lo scultore: scatti pornografici, lampadine in frantumi e posate di plastica. Mutazione in Martin Rev e Alan Vega e scelta di un brand sobrio mutuato dalla cultura fumettistica: Suicide. Con Martin Rev e Alan Vega un terzo individuo di nome Paul Liebgott. La scoperta di una drum machine unita alle infinite possibilità dell’organo Farfisa farà il resto.
“Non puoi immaginare quanto tutti si stessero sulle palle. Ma da fuori sembrava regnare l’armonia e spuntavano di continuo nuove band. Mi ha raccontato un buttafuori che Johnny Thunders e Johnny Rotten non potevano vedersi” scopro, distruggendo in questo modo l’idea che avevo di una sorta di Casa Keaton in salsa punk.
I primi concerti dei Suicide confermano le aspettative dei membri: provocazioni, scazzottate, fughe di massa ascrivibili all’atteggiamento di Vega che sul palco dimostra una affascinante attitudine al masochismo tagliuzzandosi fino a ridursi una maschera di sangue. Nella devastazione, le prime idee per un disco, ma servirà affinare la tecnica con ulteriori show.
Al CBGB i Suicide si impiantano nel 1977. Suicide lo pubblica la Red Star nel 1977 e viene stroncato da mezzo mondo; quello stesso mezzo mondo convinto oggi che Suicide dei Suicide sia una pietra miliare del rock sperimentale, nonché irripetibile pezzo di bravura e classe.
Someone would always tend to call another gangster a “punk”.
It was also used to describe gay prisoners maybe as early as the 1920s.
L’hanno definita no wave e dice vada parecchio nel Lower East Side, altresì identificato con l’acronimo di L-E-S. Zona di locali provvisti di tenda bianca, scritta rossa e noti per chiudere tardi, o almeno finché durerà la pacchia e si proverà piacere a restarsene in piedi sotto la neve. Prima di Reagan, delle cinture con le borchie e l’epidemia di HIV da immortalare nelle fotografie al microscopio. Ai tempi in cui New York era una sarcastica, inafferrabile Weimar dove folleggiare fino all’ultimo e chi, come la signora davanti a me che l’ha scampata, ci ripensa nei pomeriggi di sole con palpabile, terminale magone.
L’autore
Gabriele Merlini (Firenze, 1978) è giornalista musicale e culturale, nonché redattore della rivista L’Indiscreto. Con effequ ha pubblicato il romanzo Válecky o guida sentimentale alla mitteleuropa (menzione scrittore emergente al Premio Letterario Vallombrosa 2014 – cinquina migliore testo di narrativa Premio Dedalus/Pordenonelegge 2014) e curato le antologie Selezione Naturale e Odi. Quindici declinazioni di un sentimento. Suoi racconti, interviste e reportage sono apparsi su magazine e quotidiani tra i quali Nazione Indiana, minima et moralia, Le Parole e le Cose, Corriere Fiorentino, 404: File Not Found, Scrittori Precari, Riot Van.