Le elezioni in Georgia, previste per domani 26 ottobre, si inseriscono in un contesto di tensioni che risuonano con le recenti dinamiche osservate nelle elezioni in Moldova del 20 ottobre 2024. In entrambi i Paesi dell’Ex Unione Sovietica, il dibattito politico riflette ampiamente una scelta dicotomica tra influenza orientale e occidentale: da una parte, il desiderio di avvicinarsi all’Europa, largamente sentito nelle fasce urbane; dall’altra, la tentazione di consolidare un legame con l’asse Russia-Cina o la paura di reciderlo. La narrazione elettorale degli ultimi mesi ha ricondotto così la scelta politica a un dilemma esistenziale, in cui ogni parte pone in gioco il futuro identitario del Paese. E probabilmente è proprio di questo che si tratta.
In Moldova, la scorsa settimana, l’elettorato ha dovuto scegliere tra forze pro-europee e nostalgici del passato sovietico, resistendo a una campagna di disinformazione del Cremlino da manuale.
In Georgia, il partito di governo Sogno Georgiano, al potere ormai dal 2012, cerca di mantenere il controllo in ogni modo, evocando i rischi di instabilità politica e caos che potrebbero derivare da un cambio al vertice. Con toni decisamente accesi, Sogno Georgiano non ha mai mancato, in questi mesi di campagna, di associare esplicitamente la possibilità di cambiamento a uno scenario simile a quello ucraino, dove sarebbero le ingerenze occidentali a portare a un rischio concreto di guerra, e – più in generale – sono stati innumerevoli gli editti lanciati alle “dittature del wokeism”, vera e propria minaccia del fulcro identitario conservatore della Georgia.

Il voto georgiano è vissuto quindi da mesi come una scelta cruciale e carica di incertezze, con l’ombra dell’oligarca Ivanishvili a influenzare le decisioni chiave e un’opposizione divisa che a fatica è riuscita a presentarsi come valida alternativa.
La Georgia, con una popolazione di 3.6 milioni di abitanti, è stata tra le nazioni post-sovietiche più orientate verso l’Occidente. Sondaggi recenti mostrano che oltre il 60% dei cittadini vuole entrare nell’UE e nella NATO, ma rimangono le divisioni tra chi sogna un futuro europeo e chi, specie nelle aree rurali o ex industriali, vede nel passato sovietico l’ultimo periodo di stabilità economica e sociale.

Nel marzo 2024, il governo ha proposto una legge, ispirata a quella russa, per controllare l’influenza delle organizzazioni occidentali, costringendo ONG e media finanziati dall’estero a registrarsi come “agenti stranieri”. Questo provvedimento ha suscitato una delle maggiori proteste recenti in Georgia, con migliaia di persone che sono scese in piazza a Tbilisi . La reazione ha spinto il governo a ritirare la legge, ma la divisione con una parte della popolazione è rimasta evidente.
Questo ci riporta al presente, a poche ore dalle elezioni. La Georgia si trova in una posizione decisamente scomoda tra Occidente e Russia: un Paese che di pancia desidera avvicinarsi all’Europa ma che, allo stesso tempo, è vincolato da rapporti economici con Mosca, soprattutto dopo la guerra in Ucraina. E mentre le strade di Tibilisi si rimpievano sempre di più di bandiere giallo-blu, il governo ha invece sempre adottato una politica che – per usare un eufemismo – potremmo definire cauta, non aderendo completamente alle sanzioni occidentali contro la Russia, ma cercando di mantenere un equilibrio pragmatico per proteggere l’economia locale. Una scelta che ha sollevato critiche e il congelamento dei rapporti con Stati Uniti e EU, ma che ha anche trovato difensori che vi vedono una necessità strategica.

Le elezioni del 26 ottobre potrebbero segnare un momento decisivo per il Paese o essere semplicemente un altro passaggio in una lunga fase di stasi politica. Le pressioni interne ed esterne, l’influenza russa e quella occidentale, il peso delle scelte economiche e dei valori sociali, tutto questo si intreccia in una narrativa che – ammettiamolo – per noi è non proprio immediata da capire. E in questa complessità, molti elettori si trovano costretti a scegliere tra un governo che ha consolidato il potere, ma garantisce una stabilità fragile, e un’opposizione che promette cambiamento, ma che per molti sembra ancora troppo incerta.

Le galassie delle opposizioni
Nel contesto delle tensioni crescenti tra Georgia e Russia, il Movimento Nazionale Unito (NM), fondato da Mikheil Saakashvili nel 2001, si è affermato come principale forza politica pro-occidentale nel Paese. Durante il suo mandato come presidente, dal 2004 al 2013, Saakashvili ha promosso una serie di riforme economiche e sociali ambiziose, che volevano modernizzare il Paese e ridurre il clamoroso livello di corruzione. Tuttavia, il suo governo è stato segnato da svariate controversie, tra cui accuse di autoritarismo e un deterioramento progressivo delle relazioni con la Russia.
L’evento culminante di questo deterioramento è stato il conflitto armato del 2008, scoppiato per il controllo dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, due regioni cosidette separatiste georgiane sostenute da Mosca, e da pochi più. In un tentativo di riprendere il controllo dell’Ossezia del Sud, Saakashvili ordinò alle truppe georgiane di entrare nella regione, dichiarando che la Georgia avrebbe fatto valere la propria sovranità. La Russia reagì con forza, lanciando una vasta offensiva che portò le truppe russe ben oltre i confini contesi, fino a minacciare la stessa capitale, Tbilisi. Alla fine del conflitto, Mosca riconobbe l’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia, sancendo de facto la loro separazione dalla Georgia.
Durante quegli anni, Saakashvili rappresentava per Mosca una sfida aperta all’influenza russa sul Caucaso. L’ex presidente georgiano era considerato una pedina dell’Occidente, desideroso di portare la Georgia nell’orbita della NATO e dell’Unione Europea, cosa che, secondo molti analisti, spinse il Cremlino a reagire con durezza. Putin, frustrato dalle ambizioni pro-occidentali di Saakashvili, arrivò a dire, con toni sprezzanti, che avrebbe voluto “vederlo appeso per le palle”.
Dopo la sconfitta elettorale del 2012 contro Sogno Georgiano (GD), il NM è rimasto una forza d’opposizione, ma negli anni ha subito una progressiva frammentazione, riducendosi a due alleanze politiche minori con un seguito sempre più in calo.

E c’è spazio anche per il turbocapitalismo libertario alla Milei
All’interno di questo scenario si inserisce oggi un nuova piccola realtà politica, largamente minoritaria, che durante il mio recente viaggio in Georgia mi è sembrata assai bizzarra ma tutta da capire: Girchi è il partito di cui fa parte Irakli, una guida turistica originaria di Tbilisi con cui ho intrapreso numerosi scambi, anche dopo esser tornato in Italia. Fondato nel 2015 da ex membri del NM, Girchi è un partito libertario e neoliberale, molto simile al movimento di Javier Milei in Argentina. Sì avete capito bene: mettiamo il turbo a capitale e libertà.
Girchi propone la riduzione radicale del ruolo dello Stato, la promozione del libero e sfrenato mercato e mette una forte enfasi sulle libertà individuali, incluso il possesso di armi e la liberalizzazione delle droghe leggere, spesso esprimendosi in modo provocatorio per attirare l’attenzione su questioni sociali. Girchi è noto per le sue iniziative anticonformiste e il suo stile satirico, e così ha guadagnato consensi tra i giovani e tra chi cerca un’alternativa alla tradizionale politica georgiana.
Il paradosso di un partito come Girchi, che esiste in un Paese come la Georgia, sta nel fatto che, nonostante le sue politiche estreme e libertarie, riesce a ritagliarsi uno spazio in un contesto di polarizzazione politica estrema. Irakli, sostenitore di Girchi, spiega che molti georgiani non si identificano né con il Movimento Nazionale né con Sogno Georgiano: “Se sei una persona normale, né GD né NM possono essere il tuo preferito.” Per lui, la polarizzazione voluta da GD serve solo a mantenere il potere attraverso la paura: “L’unico modo per mantenere la legittimazione del GD è che la gente odi il Movimento Nazionale.”
Girchi, posizionato nella Coalition for Change con altri piccoli partiti satellite, si presenta come una alternativa non poco bizzarra oltre che inquientante. Ma Irakli continua a sottolinearmi l’apertura del partito: “Il motivo per cui sostengo Girchi è che queste persone sono sempre pronte a parlare di tutto, come me.” Tuttavia, riconosce che il problema principale non è solo Sogno Georgiano o Ivanishvili, ma un sistema politico che concentra troppo potere in poche mani: “Ivanishvili o GD non sono il problema. Il problema è il sistema che dà potere illimitato a qualcuno e per cambiare questa dinamica potrebbero volerci decenni”.
Ciò che deve accadere, accade?
E allora si capisce che tra il burattinaio Ivanishvili (che fino a pochi anni fa possedeva patrimoni pari a 1/3 del PIL del Paese) e l’arcipelago di disordinati partiti d’opposizione, anche un elettore fortemente pro-Europa e anti-Russia (sono la maggioranza) scelga di appoggiare lo status quo, per sfiducia o timore di perdere quel poco che ha.

E questo scollamento totale e quasi pacificato tra idea e scelta elettorale, che forse accadrà o forse no – vedremo da domani -, viene da una rassegnazione verso la classe politica. Una delle tante cose dei paesi ex sovietici che a noi sorprende e ci fa soffermare ma “là” risulta forse assai normale. Perché come spiega Kapuscinski in Imperium, con il regime “tutto si configurava sempre più come ciò che doveva essere. Aveva vinto un’evidenza impossibile da discutere, o anche solo da mettere in dubbio. E, visto che così stavano le cose, le domande semplicemente non esistevano più. Al loro posto, ecco invece spuntare una miriade di modi di dire, di intercalari e di massime esprimenti l’approvazione dello stato delle cose, l’indifferenza, l’assenza di stupore, l’accettazione passiva, la rassegnazione. ‘Pazienza’, ‘Che ci vai a fare?’, ‘Se ne vedono di tutte’, ‘Lasciamo andare le cose come vogliono’, ‘Sarà quel che sarà'”
