A me il Natale fa pure schifo, con tutte queste lucine impiccate e i festoni e i siamo tutti più buoni, e il centro tappato e le file ai negozi e gli zampognari del cazzo. Che poi chiudono le strade e per arrivarci, in centro, mi tocca prendere l’autobus, che è sempre pieno di vecchi che tossiscono e bambini che piangono e negri e arabi che puzzano, sempre sbronzi e molesti, e zingari che non vedono l’acqua da quando li hanno battezzati, sempre che quei merdosi li battezzino, che cercano di fregare i portafogli alla gente. Non a me, chiaro, che testa rasata bomber anfibi e uno e ottantacinque e sguardo da mischia da rugby bastano e avanzano a evitare che anche solo ci si azzardino, a rompermi il cazzo, che ci provino, anche due tre per volta, davvero non aspetto altro. Ci fosse chi dico io al governo. Comunque, vaffanculo, mi tocca, e allora prendo questo autobus bestiame e trovo pure posto a sedere, e davanti ho questa vecchia araba che mi guarda, e no, col cazzo che ti cedo il posto, la guardo e sorrido e faccio no no con la testa, stai in piedi, me ne frego se sei vecchia, al posto mio ti siedi al tuo paese. Metto le cuffie e mi sparo un po’ di musica seria e penso a tutt’altri cazzi. Il bus rimane impagliato nel traffico, ormai il sole è tramontato, accidenti a tutti gli stronzi in fila per i regali. A un certo punto succede una cosa. L’autobus si ferma, ma non inchiodando, rallenta e piano piano si pianta. Le luci si spengono, tutte, non solo all’interno, anche fuori, la città piomba nel buio. La gente intorno dapprima si zitta, poi mormora, poi comincia ad agitarsi. Io rimango fermo, il primo che allunga le mani quant’è vero Iddio gliele spezzo, non aspetto altro. Ma nessuno ci prova, e vorrei vedere, cazzo. Poi di colpo fuori una luce abbagliante rischiara tutto a giorno, come una specie di fulmine, eppure oggi era sereno, secco e freddissimo, e allora tutti si sporgono verso i vetri e allungano il collo, io pure, ma fuori non c’è un cazzo da vedere, e però è tornata la luce, i lampioni e le vetrine si riaccendono, il bus riparte. Alla gente passa la smania, torna a pensare ai cazzi suoi, e io pure. Arriviamo davanti alla stazione centrale e la folla sciama, io aspetto seduto e poi scendo con calma, che il contatto fisico con queste piattole mi fa venire voglia di far partire una mischia, bassi, tocco, via, e stirarli tutti contro il muro, e no, c’è da stare calmi, che tanto poi gli sbirri invece che con loro se la prendono con me magari, vaffanculo. Mi trovo davanti la vecchia a cui non ho ceduto il posto. Non fa niente, sta là davanti a me, e ride, forse le è andato in pappa il cervello. Mi piacerebbe tanto prenderla a calci fino a farle volar via la dentiera, ma ho da fare, non ho tempo per i divertimenti, sarà per la prossima volta, la dribblo e proseguo. Mentre le passo accanto mi punta contro un indice sudicio, con l’unghia nera, e continua a ridere, ma vaffanculo. Chiudo il bomber e vado verso il centro. Pensavo peggio. Non ci sono tante luci. Non c’è neanche tanta fila. In compenso ci sono solo praticamente musi neri. Mentre passo si girano, mi guardano. È pazzesco com’è ridotto questo paese. In centro, sotto natale, e invece che le file nei negozi, immigrati. Immigrati nei bar a bere merda analcolica, immigrati per strada stravaccati sui loro tappeti lerci a pregare il loro dio stacca teste, immigrati a vendere fumo ai ragazzini davanti alle scuole, immigrati a estorcere le due euro dei carrelli ai vecchi nei parcheggi dei supermercati, immigrati delinquere senza che nessuno gli faccia mai un cazzo, mentre a noi ci fanno il culo per un divieto di sosta, immigrati nelle classi a non far imparare niente neanche ai bambini di qui. Immigrati, immigrati, immigrati. Spuntati dappertutto, peggio dei ratti, peggio degli scarafaggi, e che ora mi guardano passeggiare per il centro della mia città, nel mio paese, e pure qualcuno se la ride, e pure qualcuno scuote la testa. Uno in particolare, mi fa cenno con la mano, mi indica, tu, mi dice in italiano, tu qui non ci puoi mica stare. Ecco, eccolo lo stronzo che ha vinto alla lotteria. Lo agguanto per il bavero e me lo porto vicino al viso. Vedo sgranarsi di paura quegli occhi a palla semiti, sento il suo fiato di sorcio mentre lo guardo, lo respiro bene per quanto mi faccia schifo, mi deve rimanere impresso, poi lo mollo con la destra, ma è solo per caricare il gancio. Gli arrivo pieno sullo zigomo e lo faccio volare contro una vetrina con i caratteri in arabo. Sbatte forte e cade a terra. Dal negozio escono dei tipi con la barba e senza baffi, con addosso delle tuniche, mi guardano sbalorditi. Anche quelli per strada mi guardano. Cristo di un dio, ma ci sono davvero solo loro? Cazzo avete da guardare musi neri del cazzo, gli urlo, e fanno un passo indietro. Quello che ha preso il cazzotto è ancora a terra. Meglio telare, ora, però, prima che arrivino i nostri. Che ormai sono diventati i loro, anche se li pago io. Mi affretto verso il corso. Mentre cammino a passo svelto, ma senza correre per non dare nell’occhio, guardo in alto, e ancora non vedo luci di natale. I negozi, in compenso, sulle vetrine, hanno solo scritte in arabo. Che cazzo, penso, questo paese è alla frutta. Intanto abbastanza casualmente mi giro, e in fondo alla strada si è radunata una piccola folla intorno a quello che ha preso il cazzotto. Lo rialzano, indicano da questa parte. Vengono verso di me, cominciano a correre e a sbraitare nella loro lingua di merda. Mi piacerebbe stangarli tutti, ma effettivamente sono un po’ in troppi. Stasera magari torno a fargli una visita coi ragazzi, ma ora giro l’angolo e affretto il passo. Mani in tasca e passo lungo, ma è inutile, perché da tutti gli angoli sbucano altri sorci e urlano e mi indicano a quelli che mi inseguono, stanno bene a distanza, chiaro, non ci vengono a tiro, non c’è un paesano neanche a pagarlo, ma quant’è che in questa zona c’è questo cazzo di quartiere arabo, e quelli intanto corrono, e allora corro pure io. Finirà questo suk di merda, mi dico, mica siamo in negrolandia davvero, perdio. Per fortuna ho buoni polmoni, e questi palle mosce di fumatori incalliti sono anche troppo facili da seminare, giro l’angolo e mi butto in un vicolo buio e deserto che puzza di piscio, mi appoggio a un muro, tiro un poco il fiato. Giuro, giuro su dio che passo a rendergli il favore, amici, birra e sciarpa sul viso, e poi si vede chi fa correre chi, maledetti cammellieri di merda. Cerco di vedere che ore sono ma il cellulare è spento e non ne vuole sapere di riaccendersi, affanculo anche a lui. Quando il fiato è a posto arrivo fino alla fine del vicolo e do una sbirciata. La situazione sembra normale e torno sulla strada. Cammino rasente i muri senza guardare nessuno, perché la folla incarognita è sicuramente ancora in giro e basta un niente per ritrovarsela addosso. Ma l’accortezza non basta. Qualcosa di duro mi colpisce alla testa, cado in ginocchio. Mi tocco la nuca e tiro via sangue, sopra di me una puttana velata ulula affacciata a una finestra e mi indica. Le macchine per strada cominciano a inchiodare e qualche automobilista scende. Mi alzo e mi guardo intorno. Si sta riformando un capannello di musi neri, mi hanno riconosciuto, per forza. Scatto, e corro, sono vicino alla piazza, e davanti alla cattedrale vuoi che non ci sia una pattuglia, e dio solo lo sa se non mi rode farmi dare mano da quelli che di solito mi randellano allo stadio, ma sempre meglio di questa folla di scimmie inferocite, questi son capaci di tagliarti le palle, in venti o trenta contro uno. Arrivo a perdifiato all’angolo che dà sulla piazza, la folla è a distanza ma nel frattempo si è ingrossata, ora agitano ombrelli e mi pare anche bastoni, fanculo, davanti agli sbirri non ci provano i merdosi, sicuro, che è la volta buona che magari qualcuno lo rimpatriano, ma quando arrivo davanti alla meta inciampo su qualcosa e rovino per terra. È una brutta caduta ma mi rimetto in piedi. Davanti a me una bambina, avrà nemmanco dieci anni, la testa velata, mi ride in faccia. Mi ha fatto lo sgambetto, questa stupida troia. Mi rialzo e entro nella piazza, la folla mi arriva addosso. Mi chiudo in posizione fetale, stringo le gambe e mi copro la faccia e la nuca con le mani. Non è molto, ma non posso fare altro. Quello che segue è peggio di qualsiasi mischia in campo e di qualsiasi scazzottata allo stadio. Sono solo, circondato, calci, sputi bastonate, il tutto in una colonna sonora di insulti in arabo, e sono pure bello grosso e abituato al dolore, ma questa è la volta buona che mi ammazzano, dio che fine di merda, linciato sotto natale da un branco di scimmie. A un certo punto è tutto buio. Ma no, non sono morto. Mi risveglio, e vedo tra gli occhi socchiusi dalle botte due tipi in divisa che si fanno largo tra la folla. Finalmente, sbirri del cazzo, ma dove cazzo eravate, dio vi benedica. Spintonano via le scimmie, sono in tenuta antisommossa, mi tirano su e mi trascinano verso il cellulare. Mi accascio per terra con la schiena contro la ruota dentata e uno dei robocop si china e mi si fa vicino. Alza la visiera del casco. È un arabo anche questo. Sei impazzito, idiota, mi dice. Non lo sai che i Charlie non possono entrare in centro? Chi, che è Charlie, balbetto. I Charlie, idiota, mi dice, i cristiani. Non potete entrare in centro. Non potete avvicinarvi alla moschea. Dovete stare nei vostri quartieri. Lo sbirro si tira su, parlotta in arabo col suo collega, fa cenno con l’indice verso la tempia, mi indica, sta dicendo che sono matto. Poi mi tirano su e mi ammanettano. Allora noto che la cattedrale non ha più la facciata di marmo con le statue, ma è tutta di mattoni rossi. Gli sbirri mi spingono verso il furgone e sulla fiancata verde c’è uno stemma con una scimitarra e una scritta in arabo, e sotto, in inglese, c’è scritto Sharia Police. Di là dal cordone di sbirri, in mezzo alla gente, vedo la vecchia dell’autobus, urla e sbraita come gli altri, per un attimo mi sembra di incrociare il suo sguardo, e mi pare che rida. Sento le gambe cedere, di nuovo tutto diventa buio.
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