L’11 dicembre 2019 la transumanza ottiene il riconoscimento dall’UNESCO come elemento vitale della cultura umana. Chiamata transumanza, dal latino trans per “attraverso” e humus per “terra” lo spostamento stagionale delle persone e del loro bestiame verso i pascoli estivi e invernali è stato praticato per migliaia di anni dalle culture pastorali in ogni continente abitato.
Una pratica utilitaria guidata dalla necessità è ora iscritta nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’UNESCO, insieme al canto tenore sardo, all’opera dei pupi, al saper fare liutario di Cremona o all’arte dei muretti a secco. Lungo il confine tra Lazio ed Abruzzo si muove la piccola transumanza di Americo Lanciotti, che trascorre con il suo gregge e i suoi cani da lavoro l’intero periodo estivo in altura.
Ogni giugno, Americo Lanciotti raccoglie le sue 400 pecore e lascia la sua abitazione ad Avezzano. Camminando per circa 35 km in due giorni arriva ai pascoli delle Montagne della Duchessa, riserva naturale ai piedi del Complesso del Velino. Qui rimane per circa quattro mesi, l’unico tra i pastori della valle a non lasciare mai il gregge.
Ho conosciuto Americo nell’estate 2019 a metà di un’escursione in solitaria tra le Montagne della Duchessa e il Monte Velino quando, uscito dal dislivello diretto di 850 mt della Val di Fua, una gola sovrastata da rupi ricoperte da leccete che si innesta in una faggeta monumentale, fui da lui accolto (o forse soccorso) con un caffè e un po’ di ristoro. Stanco morto e nemmeno troppo lucido per la fatica, quei dieci minuti di chiacchiere sono stati fondamentali per proseguire verso il Rifugio Sebastiani, dove una buona tachipirina avrebbe ristabilito la temperatura corporea salita alle stelle per il caldo.
Un anno dopo e un pochetto più in forma sono di nuovo insieme ad Americo lungo il percorso di transumanza estiva da Avezzano al Lago della Duchessa, per realizzare un reportage di cui questo articolo vuole dare un’anteprima, stabilendo l’incipit ideale di un percorso di ricerca fotografica.
Il mondo (non ancora) perduto
Americo nasce nel 1953 a Cartore, nel comune di Borgorose in provincia di Rieti, da una famiglia di pastori e agricoltori. In queste quattro case a valle e nella montagna che le sovrasta c’è quasi tutta la sua storia; una famiglia che per decenni ha praticato transumanze estive e invernali, proprietaria di terreni e immobili nel piccolo borgo di Cartore, abitato fino allo spopolamento del dopoguerra da circa otto numerose famiglie. Su Cartore torna continuamente il discorso durante il nostro cammino di transumanza e a Cartore si ferma il suo gregge per sostare nella notte tra il primo e il secondo giorno di viaggio, in una vecchia stalla pericolante inghiottita da edere e arbusti selvatici.
Io, che seguendo la transumanza di Americo pensavo di osservare un fatto individuale, ho trovato invece un momento condiviso, un evento della comunità-famiglia intorno a cui le persone si raggruppano e i rapporti si rinnovano. In montagna, durante i quattro mesi estivi, non si è mai davvero soli.
Gli amici e i parenti di Americo lo supportano nella preparazione del casale, lungo il tragitto e infine durante i mesi di alpeggio, portando viveri, andando a fare lavoretti di manutenzione o anche solo a bere un caffè. Se raggiungerlo a piedi non è una passeggiata, anche farlo in macchina non è cosi immediato; la sterrata per arrivare al rifugio è un serpente di sasso bianco con tornanti a gomito che si snodano su un dislivello da capogiro e no, non basta un ottimo fuoristrada, serve anche un manubrio esperto. Gli amici di Americo quella strada l’hanno realizzata, circa 40 anni fa e in soli 20 giorni. Con loro alla guida mi sento moderatamente al sicuro.
Mario Spera, Domenico Rubeis, Augusto di Martino, Giacomo Spera, Mario D’Agostino sono alcune delle persone che ho avuto il piacere di conoscere. Tutti hanno vissuto la pastorizia e il mondo contadino di montagna fin da piccoli e il loro corpo e il loro spirito si giovano ancora di quella lunga scuola. Si parla di ultra settantenni che tollerano ore e ore di fatiche per me poco proponibili, non hanno problemi con freddo, umidità, vento, pioggia e mancanza di riposo; non sono guide ambientali né conoscono il green new deal ma sanno del loro ecosistema ad un livello di profondità che va oltre il sapere scientifico. La loro conoscenza è fatta di esperienza, pratica e memoria storica.
La parola e il racconto sono il modo principale di alimentare il ricordo e trasmettere i saperi, e tutti parlano di continuo, spiegano e cercano di renderti partecipe. Sembra che la montagna vada raccontata come impresa, passione e lavoro, per tenere in vita una serie di significati quotidianamente minacciati d’oblio. Mi riempiono quindi di aneddoti e storie, e rispondono alle mie continue e sicuramente ingenue domande, nonostante facciano fatica a capirmi alla prima. E se la scena del racconto diventa inevitabilmente la tavola, all’ospite toscano viene concesso un ruolo di rilievo, nonostante le mie intenzioni fossero di rimanere bene in disparte. Sono quindi il primo ad essere servito, ricevendo nel piatto il doppio delle quantità consigliate dal medico. Infine, arriva la genziana puntuale con le tempie che pulsano ad ogni sorso. Impossibile sfuggire.
Quando il gregge arriva a Cartore, prima tappa e sosta della tratta da Avezzano verso il Lago della Duchessa, Americo inizia a parlarmi di come erano quel campo di fieno, quel muretto diroccato, quella casa pericolante 50 anni fa. Senza che glielo abbia chiesto mi ricostruisce il suo mondo quasi perduto, ammettendo che muoversi in transumanza non significa solo lasciare casa ma sopratutto tornare a casa. “Quando domani usciremo con il gregge dalla faggeta della Val di Fua e saremo nel Vallone del Cieco mi sentirò pieno di ossigeno, mi sentirò bene”, mi dice.
Fino al primo dopoguerra, circa 100 persone abitavano il Borgo di Cartore. I campi intorno al borgo e ai piedi delle Montagne della Duchessa erano coltivati a frumento e orzo, la faggete e le leccete di montagna che ricoprono oggi i crinali erano in gran parte inesistenti per il taglio del bosco, essendo il legname una risorsa fondamentale al commercio e alla sussistenza. La montagna era quindi sostanzialmente nuda e la roccia ben visibile, al contrario di adesso. Si saliva con gli asini a recuperare legname per uso familiare e si tornava a valle, anche più volte alla settimana.
In valle, durante il periodo di pascolo estivo, si abitavano piccole capanne in pietra, ora abbattute per lasciare posto ai casali rifugio, che seppur spartani offrono oggi servizi immensamente superiori a quelli di un tempo, spesso privi di finestre e di sistemi di riscaldamento o ventilazione. Condizioni di vita che mancavano di qualsiasi comodità per come le intendiamo oggi. Ma più volte mi viene detto che il segreto per viver bene in quel minimalismo dei beni era un reale senso di fratellanza e solidarietà tra la gente; le persone erano unite e si aiutavano per sopravvivere con dignità, pur nella mancanza di quelli che oggi consideriamo servizi essenziali.
Per avere una comprensione del mondo di Americo, devo fare un patetico sforzo intellettuale da ragazzo di città e mettermi in testa che l’ecosistema agro-pastorale teneva insieme senza alcuna teoria speculativa l’antropologico e il biologico, l’umano e il non umano. Un modello di vita sostenibile e resiliente ante litteram, che pone l’equilibrio inter-specie al centro delle sue priorità e che si nutre di un corpus di conoscenze ecologiche tradizionali: è questo che supporta persone come Americo nell’adattamento continuo ai cambiamenti ambientali, facendone al contempo efficienti amministratori dei loro beni.
Le mie categorie, quindi, non servono sostanzialmente a nulla; quello che per me è riparare un oggetto, per loro è un prendersene cura. Le mie certezze diventano nell’ecosistema di Americo contingenze, il concetto di globale è inesistente o al limite vicino a quello di terrestre; valori come libertà e indipendenza vengono sempre dopo l’interdipendenza tra persone e ambienti.
Dopo tutti questi ricordi del tempo perduto, alla fine gli domando se non si consideri un temperamento nostalgico che vede nel presente solo una traccia sbiadita d’epoche d’oro passate. Al contrario, Americo mi risponde di saper accettare il cambiamento senza nostalgia, ma con la voglia di trasmettere e tutelare il suo mondo. “Se non trasmetti nulla, hai fallito.”
Il lago che potrebbe sparire
Chi pratica la transumanza afferma una presenza nomade su più territori e scordiamoci che oggi tutti ne siano contenti. Ci sono i campanili, le fazioni, “la brava gente”, come la chiama Americo con sarcasmo. Intorno alla sua figura in molti si uniscono per dare supporto, ma molti altri si impegnano per ostacolare in modo più o meno diretto.
Americo si è ritrovato in mano il ruolo di custode della valle, essendo l’unico pastore rimasto ad abitarla per l’alpeggio e suo malgrado è diventato personaggio divisivo.
Il suo operato di pastore consapevole è infatti al centro del dibattito locale, sia perché la pratica di spostare le greggi in altura tiene in vita una tradizione millenaria, sia perché le sue opinioni in merito al Lago della Duchessa non mettono tutti d’accordo.
La sostanza della questione è che Americo da anni si batte per evitare che gli animali a pascolo libero senza presenza fissa di pastori (perlopiù mucche e cavalli) sostino all’interno del lago, che nei mesi estivi è ormai ridotto a un acquitrino insalubre. Senza dover aspettare studi scientifici, che spesso arrivano quando è troppo tardi, già adesso è evidente che prima il lago perderà la sua funzione di approvvigionamento d’acqua per gli animali al pascolo e poi, semplicemente, morirà.
Americo porta avanti un ecologismo popolare senza fronzoli che va diretto al punto e proprio il suo impegno per la tutela della Duchessa è diventato scomodo a chi lo preferirebbe unicamente nel suo ruolo di pastore.
Gli avvertimenti e le minacce hanno infatti progressivamente lasciato il passo a fatti di natura criminosa; sia nel 2018 che nel 2019, durante i mesi estivi, sono stati avvelenati con esche alla stricnina e veleni anti lumache molti dei suoi cani, per un totale di 28 perdite.
Si parla di animali fondamentali per il lavoro e la vita affettiva del pastore; Americo li definisce figli e la sua malcelata commozione tradisce l’autenticità del sentimento.
Ci sono chiare dinamiche di conflitto tra amministrazione, riserva, pastori e cittadinanza, e l’impressione è che non tutti quelli che a parole sostengono la causa della valorizzazione del lago siano realmente promotori di un cambiamento.
Il rilancio turistico della zona è da qualche anno in crescita grazie soprattutto all’indotto del Cammino dei Briganti e alla rivalutazione e rinascita di luoghi di accoglienza turistica come Cartore stessa; nonostante questo, a sentire il mugugno di molti, sono ancora vivi conflitti, resistenze e forme mentali che impediscono alla cose di evolversi naturalmente. Sarà pure il fatto che siamo in terra di confine dove l’identità regionale si indebolisce e cresce quella di paese, per compensazione. E ancora in quei paesi di 200 o meno abitanti, dividersi è la regola base del gioco degli adulti.
Quello che Americo si ostina a fare ogni anno portando il suo gregge in valle sembra disturbare, e in parte disinnescare dal loro interno, queste dinamiche di campanile. Perché passando da Avezzano a Cartore il tracciato della sua transumanza di frontiera riunisce idealmente la geografia culturale di un’area già suddivisa in modo assai maldestro dai confini regionali. E inoltre, una volta arrivato alla Duchessa, Americo si mette in prima linea per la tutela di un ambiente minacciato da un banalissimo ma ostinato malcostume.
Gli episodi della scorsa estate, quando sono stati avvelenati nove dei dodici cani a guardia del gregge, hanno prodotto reazioni di forte solidarietà nei confronti di Americo, grazie anche a una petizione promossa da Luca Gianotti, coordinatore della “Compagnia dei Cammini”, a cui hanno aderito più di 86.000 persone.
E se anche durante quest’estate ci fossero intimidazioni e minacce? Per la terza stagione consecutiva, perdere altri maremmani, abruzzesi e border collie sarebbe per Americo un danno materiale ed affettivo davvero eccessivo.
Intorno al personaggio in questione ruota la sopravvivenza di una pratica che da millenni crea riti, significati, rapporti e valori che con la morte della generazione di Americo sono a serio rischio. E poi c’è il lago. Chi vuole davvero salvarlo? Staremo a vedere cosa accadrà quest’estate.