Model City Pyongyang: viaggio fotografico nell’utopia architettonica della Corea del Nord
Uno sguardo inedito sulle architetture di Pyongyang, centro politico e culturale di un paese che da 70 anni vive in un regime di auto-reclusione dal resto del mondo e che per questo motivo è un oggetto di indagine inafferrabile e quasi immaginifico.
Il lavoro degli architetti Cristiano Bianchi e Kristina Drapic sulla città modello Pyongyang, emanazione diretta dello zeitgeist dominato dall’incrollabile dinastia Kim, è dal 2019 disponibile in un prezioso volume che mette parzialmente in luce il grande cono d’ombra che dal 1948 avvolge la Corea del Nord.
Partendo da una sostanziale mancanza di dati e di conoscenze dirette, gli autori di Model City Pyongyang visitano la capitale nordcoreana per la prima volta nel 2015, dando inizio alla loro ricerca sulla città modello, in collaborazione con il Koryo Studio. Torneranno poi nel 2016, con il supporto della Korea Cities Federation (KCF), e infine nel 2018, per completare il lavoro fotografico che ha dato vita a un volume di 224 pagine, di cui 200 dedicate a fotografie e illustrazioni.
La nascita della Corea del Nord e la dinastia Kim
La nascita della Corea del Nord nel settembre del 1948, all’inizio della Guerra fredda, è stata uno dei fatti storici di maggiore rilevanza simbolica nel contesto dello scontro tra il blocco occidentale e quello sovietico. Tre anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il 15 agosto del 1945, la Corea viene occupata dalle forze armate sovietiche nella parte settentrionale e da quelle statunitensi nella parte meridionale. A seguito di questa cesura mai risolta, il 15 agosto del 1948 nasce la Repubblica di Corea, con capitale Seoul, e il 9 settembre dello stesso anno la Repubblica Democratica di Corea, con capitale Pyongyang. Seguirà nel 1950 l’invasione dei territori del sud da parte del regime di Pyongyang, che porterà alla ben nota guerra di Corea, congelata poi dall’armistizio del ’53 che ha sostanzialmente riportato i confini delle due nazioni allo status quo ante. Dalla fondazione dello stato fino ad oggi, la leadership della Corea del Nord è sempre stata in mano alla dinastia Kim. Guidata dapprima dal “grande leader” Kim Il Sung fino al 1994, poi dal figlio primogenito Kim Jong Il fino al 2011, oggi la Corea del Nord ha come capo politico in carica il terzogenito della dinastia Kim Jong Un. A distanza di circa 70 anni dalla sua fondazione e nonostante il collasso dell’Unione Sovietica, i muri eretti dalla dinastia Kim intorno alla Corea del Nord sono ancora incredibilmente integri e ben poco di ciò che accade all’interno del paese trapela al mondo esterno.
È proprio di queste ore le notizia, non confermata dal regime e battuta da un’agenzia stampa sud coreana, del peggioramento dello stato di salute del leader Kim Jong Un che avrebbe portato al conferimento di poteri alla sorella Pak Myong Sun. La notizia è a tutti gli effetti non verificabile.
Model City Pyongyang
Quasi tutte le capitali del mondo sono automaticamente associate dal senso comune a piazze, monumenti ed edifici “simbolo”. Pyongyang, al contrario, è per la maggior parte di noi occidentali una scatola chiusa con pochissimi fori da cui filtrano informazioni e immagini, sempre frammentarie e parziali. Sono pochi i frame visivi della capitale nordcoreana a disposizione dell’immaginario occidentale. I più informati riconoscono il grande monumento Mansudae o la Torre Juche, opera celebrante l’ideologia del Partito del Lavoro di Corea come immagine simbolo della Corea del Nord. In effetti, ignoriamo quasi tutto di questa nazione di 25 milioni di abitanti e la sostanziale mancanza di conoscenze la rende un oggetto enigmatico e affascinante.
Model City Pyongyang di Cristiano Bianchi e Kristina Drapić, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice londinese Thames & Hudson, è un lavoro che ha il grande merito di colmare le nostre lacune nell’immaginario sulla Corea del Nord, fuori dalla Corea del Nord. Allo stesso tempo puntuale guida architettonica e surreale viaggio fotografico, Model City Pyongyang documenta e chiarisce attraverso immagini, didascalie e tavole tecniche il simbolismo sotteso al grande schema progettuale che ha definito dal 1948 ad oggi l’architettura della capitale, medium per eccellenza tra la Repubblica e i suoi cittadini.
Architettura e ideologia
Il paese in mano ai Kim si è sempre mostrato, al suo popolo più che al mondo esterno, attraverso opere pubbliche e monumenti pensati per rappresentare, enfatizzare e promuovere l’ideologia ufficiale della Repubblica Popolare Democratica di Corea, la cosiddetta “Juche” chiamata anche dagli osservatori esterni kimilsunghismo o kimjonghilismo. Si può dire che Pyongyang, completamente ricostruita dopo la guerra di Corea (1950-1953), sia una vera e propria guida ideologica per i suoi cittadini, ai quali si mostra (e si impone) con una narrativa unica e mai casuale. La ricostruzione integrale della città dalla seconda metà del XX secolo nasce da un complesso piano urbanistico e architettonico che si evolve e si modifica in fasi estetiche sostanzialmente definite dai sovrani in carica, pur rimanendo sempre fedele ai principi della Juche sanciti dal primo leader supremo Kim Il Sung.
Dal 2012 Pyongyang vive il suo periodo “Kim Jong Un”, l’attuale leader che ha dato fin da subito una forte propulsione alla costruzione di nuovi edifici e monumenti così come al rinnovamento di molti già esistenti, confermando una tipica attitudine nordcoreana: modernizzare il vecchio, in totale contrasto con le pratiche di recupero e mantenimento dell’eredità del passato in uso in occidente. Il suo predecessore, Kim Jong II, aveva avviato un programma di costruzione che voleva essere “nazionalista nella forma e socialista nel contenuto” (On Architecture, 1991) e che incarnava ed evolveva i principi dell’ideologia Juche dettata dal padre. A sua volta Kim Jong Un sta portando avanti l’eredità del predecessore secondo la sua personale visione, espressa nel manifesto del 2016 “For Building a Thriving Nation” dove, pur nella continuità, si apre sostanzialmente alla modernità per creare strutture e monumenti impareggiabili per grandezza e spettacolarità. L’ambizione di Kim Jong Un è creare un paradiso socialista che rimanga immacolato anche nel lontano futuro e che il mondo possa ammirare e invidiare, come spiega Oliver Wainwright nel suo saggio contenuto nel volume Building a Socialist Paradise.
Le facciate degli enormi edifici, anche residenziali, si caratterizzano quindi per esplosioni cromatiche esuberanti e “weird”: arcobaleni pastello e contrasti di colori complementari che fanno della città simbolo della repressione di regime (almeno per il mondo esterno) uno scenario retrofuturista grondante science-fiction.
“Pyongyang è sia un palcoscenico che una città reale, in cui i due aspetti si fondono continuamente. Questa è proprio quella sensazione di ‘realtà immaginaria’ che abbiamo provato durante il nostro primo viaggio e che abbiamo cercato di trasmettere attraverso la fotografia.”
Cristiano Bianchi
La (Sur-)realtà di una capitale ideologizzata
Con abilità, e senza cadere nell’esotismo, Cristiano Bianchi e Kristina Drapić giocano sulla dissonanza tra come noi occidentali percepiamo l’estetica di Pyongyang e come invece il regime ha inteso promuoverla negli ultimi 70 anni. Gli autori enfatizzano il cortocircuito tra realtà e finzione che domina la capitale, un contrasto davanti al quale è impossibile non chiedersi se quello che si vede sia reale o se piuttosto si tratti di una messa in scena (entrambe le risposte sono vere).
Bianchi e Drapić hanno quindi accostato a una fotografia estremamente fedele e documentaristica una post-produzione dei cieli volutamente finzionale: un gradiente che sfuma dal rosa al blu è stato sovrapposto a tutti gli orizzonti, come per citare esplicitamente i manifesti propagandistici della politica coreana, in cui i cieli risplendono sempre di tramonti struggenti e ipersaturi. Nonostante la sua visibilità quasi sfacciata, l’espediente non si nota subito sfogliando le pagine del libro, proprio perché è usato in un contesto dove il reale urbano nasce già carico di un artificio ideologico dagli esiti surreali.
“Il progetto fotografico mira a stabilire un dialogo con le rappresentazioni artistiche della DPRK, e allo stesso tempo vuole ritrarre quella sensazione iniziale, peculiare e sconcertante di ‘realtà immaginaria’ che abbiamo avuto durante la nostra prima visita, sperimentando per la prima volta una città così straordinariamente diversa: un senso di confusione, in cui la percezione tra ciò che è reale e genuino si fonde con ciò che è visto come messo in scena o falsificato. Alla ricerca di un modo per esprimere e comunicare questo sentimento, l’ispirazione è venuta da una delle caratteristiche più ricorrenti e sorprendenti delle narrazioni visive della Corea del Nord, nei manifesti di propaganda ma anche nelle opere di pittura, scultura e mosaico, e in particolar modo nei ritratti dei Leader: il cielo è rappresentato come un semplice gradiente di colori, come un tramonto o un’alba ipersaturi, un espediente in grado di trasfigurare il reale in ideale, come metafora dell’utopia stessa. La fotografia è quindi inquadrata con un sobrio e solenne approccio architettonico e senza modifiche significative, mentre il cielo è completamente sostituito da un gradiente di colori pastello, presi dalla tavolozza dei colori utilizzata dagli artisti coreani per i manifesti di propaganda e dagli architetti per le facciate . Il contrasto tra le due parti dell’immagine crea un’alienazione visiva in cui la parte reale (l’edificio o la città) sembra irreale e la parte irreale (il cielo) potrebbe effettivamente essere reale.”
C.B
Model City Pyongyang è un libro che dà un contributo essenziale alla nostra comprensione della Corea del Nord e nello specifico al rapporto che il regime ha intessuto tra estetica, politica ed architettura dando forma negli anni a un canone di bellezza tanto dissonante da quello occidentale quanto affascinante e quindi, necessariamente, da conoscere. Segnalato da Internazionale tra i migliori libri di fotografia del 2019, Model City Pyongyang ha ricevuto commenti e recensioni sulle migliori testate giornalistiche del mondo ed è acquistabile sul sito dell’editore Thames & Hudson.
Galleria fotografica – parte prima
Gli autori
Cristiano Bianchi è un architetto italiano, fondatore di Studio ZAG, con sede in Toscana e a Pechino. Pratica la fotografia di architettura come attività collaterale e metodo di studio, all’interno di un percorso di ricerca particolarmente incentrato sulle trasformazioni sociali e urbane in atto in Asia. Vive e lavora tra l’Italia e la Cina.
Kristina Drapić è un’architetta e graphic designer serba. Appassionata di comunicazione e rappresentazione grafica dell’architettura, da diversi anni svolge attività di “esploratrice urbana”, incentrata sul rapporto tra architettura, società e ideologia. Il suo lavoro è focalizzato sullo sviluppo delle periferie delle megalopoli cinesi, sulla gentrificazione dei centri urbani e sulla morfologia della “città generica” asiatica. Vive e lavora tra Belgrado e Rotterdam.
Giulio Burroni, Siena 1983, lavora come communication manager in una società di sviluppo web e comunicazione. Si occupa di branding, progetti editoriali e design. È fotografo di luoghi che spesso raggiunge a piedi, ma per la maggior parte del suo tempo vive stanziale, su una sedia ergonomica, nascosto nell'ormai sovraffollata famiglia del digitale.