Di Catania non sapevo molto, se non che avrei dovuto visitarla al più presto.
Mi decido ad andare per 4 giorni lo scorso dicembre, e mi procuro Catania non guarda il guarda il mare (Daniele Zito, Laterza, 2018) che ritengo una delle migliori guide narrative della collana Contromano.
La prima leva di interesse per la città sono stati però gli scatti di Daniele Vita, fotografo documentarista che da qualche tempo seguivo tramite facebook, su consiglio spassionato di amici in comune, affezionati al suo lavoro. Per quel poco che avevo potuto vedere, il lavoro di Vita mi restituiva ad ogni pubblicazione esperienze estetiche molto appaganti sia a livello stilistico sia di completezza documentaristica; le sue foto sono state un punto di vista privilegiato per immaginare Catania e alimentare il mio desiderio di conoscerla.
Sul bus-navetta, in arrivo all’ingresso della città un giovedì mattina del dicembre scorso, mi decido a scrivere a Daniele, presentandomi come il sig. Nessuno che apprezza i suoi scatti e che spera di poterlo conoscere di persona per non meglio precisati motivi. Vinco le resistenze ad espormi in modo tanto diretto e senza uno scopo preciso; scrivo senza confidare troppo nella risposta (se arriva, bene altrimenti… ‘sticazzi), che tuttavia ricevo la mattina stessa con la conferma che sì, ci saremmo potuti vedere e conoscere.
Daniele Vita è un fotografo classe ’75 di origini viterbesi (e non siciliane come pensavo); la sua parlata cede spesso ad un accento laziale che non manca di ricordare che lui a Catania è ospite, nonostante si muova ormai con esperienza nelle delicatissime penombre dell’isola e della città. Quasi come un autoctono, e in questo quasi c’è, immagino, una condizione di distanza essenziale alla sopravvivenza del fotografo documentarista che vive la città.
Lo status non dichiarato di straniero integrato, ma pur sempre “straniero”, gli ha permesso di trovare il giusto equilibrio per rapportarsi con le realtà sociali più affascinanti e complesse di Catania, e restituirle con uno stile ormai riconoscibile e apprezzato al pari di fotoreporter ben più ri-conosciuti.
Il suo sguardo fotografico sulla città è immersivo e partecipato ma allo stesso tempo distaccato. Le sue foto evocano la sottile complessità dei rapporti umani, ma sono libere da facili esotismi e soluzioni al problema che rappresentano: che si tratti dei riti devozionali della Pasqua o delle celebrazioni in onore di Sant’Agata, della complessa “moda” dei 18esimi o di associazioni sportive solidali con migranti e autoctoni, gli scatti di Vita sembrano dirci “sono qui, ma allo stesso tempo non sono qui“. La sua formazione accademica nelle scienze sociali, benché interrotta per la carriera fotografica, deve aver fornito gli strumenti utili ad assumere la giusta distanza dalle cose.
Il giorno della mia partenza ricevo da Daniele l’invito ad uno degli allenamenti della San Berillo Calcio Junior, la squadra di calcio giovanile e multiculturale di uno degli storici quartieri popolari del centro cittadino, San Berillo.
Da alcuni mesi, Daniele è con loro tutte le domeniche in qualità di fotografo “ufficiale”; con i ragazzi della San Berillo e i suoi allenatori (Dino, Luca e Tano), alimenta, oltre che un importante lavoro documentaristico, anche un’iniziativa di solidarietà unica.
I bambini ufficialmente tesserati sono ad oggi più di venti, figli di migranti e di famiglie straniere che abitano nel cuore popolare di Catania. Si tratta delle seconde generazioni di immigrati nord e centro africani, indiani, pakistani, sudamericani, rumeni, bulgari; gli autoctoni catanesi si contano sulle dita della mano, ma ci sono anche loro.
La San Berillo Calcio Junior è un’iniziativa che di certo non potrà riscattare in toto le condizioni precarie dei suoi piccoli calciatori, ma rappresenta uno dei tanti esempi di cambiamento possibile di cui la città e in particolare il quartiere ha forte necessità.
San Berillo è un dei quartieri storici della Catania popolare che da decenni ormai si è guadagnato l’etichetta, in parte giustificata e in parte frutto di stereotipi, di quartiere “difficile”. È considerato il grande ventre di Catania non solo per la sua centralità nell’equilibrio sociale e urbanistico (una città nella città), ma anche perché letteralmente sventrato, ovvero abbattuto, per la maggior parte della sua estensione a partire dal 1957, nell’ambito di un piano di risanamento controverso e mai completato, che ha portato ferite ancora ben visibili al volto del quartiere.
I 30.000 abitanti che lo abitavano prima del cosiddetto piano ISTICA, l’Istituto Immobiliare di Catania incaricato di creare un collegamento stradale diretto tra la stazione e il centro, e quindi di abbattere tutto ciò che vi era in mezzo, furono trasferiti nella periferia ovest; molti dei rimasti videro aggravarsi le loro condizioni di povertà già precedentemente al limite dell’indigenza, e non riuscirono mai a far prevalere il loro diritto di prelazione sull’acquisto dei nuovi lotti abitativi i cui costi erano al di sopra delle loro possibilità.
Dagli anni ‘50 ad oggi si susseguono decenni di fallimenti e scandali delle politiche urbanistiche il cui risultato è che San Berillo rappresenta ancora oggi “il problema di Catania”; crolli, incuria, sfratti continui, occupazioni abusive, prostituzione e degrado, sono i fatti che periodicamente lo rendono noto alle cronache locali, alimentando una rassegnazione diffusa. Ma non tutta la cittadinanza ha preferito guardare a braccia conserte e constatare l’inguaribilità del malato.
Se infatti le politiche urbanistiche hanno fallito scandalosamente, gettando benzina sul fuoco già acceso di San Berillo, molti cittadini hanno invece scelto la strada dell’associazionismo di quartiere per intervenire direttamente nel processo di cambiamento sociale. Sono nate quindi realtà di cittadinanza attiva che lavorano al recupero sociale ed abitativo e che agiscono in modo sempre più rilevante nel processo di cambiamento.
La San Berillo Calcio Junior si inserisce in questo solco di iniziative solidali e lo fa attraverso il Calcio.
Il luogo scelto per gli allenamenti della squadra ha un ruolo ben preciso nell’economia simbolica della città. Piazza Carlo Alberto ospita durante il giorno, tutti i giorni, il secondo mercato più antico e importante di Catania. La Fera o’ Luni è un dipanarsi infernale e bellissimo di banchi da mercato di ogni genere, coperti da tendoni colorati per riparare la merce da sole e pioggia; un dedalo di gesti, urla, risate, contrattazioni, abusivismo, caos e (per gli amanti del genere) godimento puro.
Al pomeriggio i banchi se ne vanno e rimane a terra un tappeto di scarti organici, scatole e contenitori di ogni genere, brandelli di tele e pezze. È la pelle del serpente che cambia muta per il giorno a venire.
Senza i fitti tendoni è di nuovo ben visibile la piccola chiesa di San Gaetano alle Grotte, una delle prime in Europa dedicata al culto della Madonna, così piccola e irregolare che quando la vedi spuntare a mercato finito, non puoi fare a meno di chiederti cosa ci faccia lì in mezzo e perché tu non l’abbia vista prima. Dov’era? Ah, ci sono le Catacombe sotto? Memento mori coi fiocchi.
Piazza Carlo Alberto è però, anche e soprattutto, il santuario della Madonna del Carmine, enorme edificio in pietra calcarea, la cui facciata barocca a tre porte sovrasta la Fera o’ Luni; proprio la scalinata in marmo annerito della chiesa è lo spogliatoio e la tribuna d’onore ufficiale della San Berillo Calcio Junior e la spianata in asfalto ai suoi piedi il campo da gioco delimitato da segni in gesso bianco.
Alle 15:00 di domenica 15 dicembre 2019 il termometro a Catania segna quasi 20 gradi. I ragazzi della San Berillo arrivano meravigliosamente disordinati agli “spogliatoi”, mentre io e Daniele tentiamo di recuperare la lucidità persa a causa della polpetta di cavallo fritta appena consumata a San Cristoforo.
Gli allenatori chiamano il riscaldamento con 10 giri di campo, tortura infernale che i ragazzi accettano trascinando i piedi a terra e ciondolando la testa come dei dannati zombie.
Per i saluti scelgo proprio il momento di silenzio e concentrazione che precede la partitella di fine allenamento; decido volontariamente di perdermi il meglio del pomeriggio per tenermi in testa l’adrenalina della San Berillo Calcio Junior nella sua fase “crescente”. Evito convenevoli e indesiderate interruzioni del pathos calcistico salutando tutti come per rivederli la domenica successiva.
Dei lavori di Daniele Vita abbiamo deciso di pubblicare quello su San Berillo Calcio Junior non solo per la bellezza degli scatti, ma anche perché testimonia come il fotografo possa essere agente di cambiamento e presenza umana rilevante per il contesto che documenta, e non solo uno sguardo di passaggio in cerca di esperienze estetiche che terminano nel tempo del reportage. Il lavoro fotografico sulla San Berillo Calcio Junior è al momento interrotto per le misure di distanziamento imposte dell’emergenza Covid-19, ma rimane a tutti gli effetti un progetto aperto e in evoluzione.
Daniele Vita
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Daniele Vita nasce a Vetralla il 5 Marzo del 1975.
Interrompe gli studi di sociologia e antropologia per dedicarsi pienamente alla fotografia.
Complici gli studi antropologici, manifesta sin da subito l’interesse verso la vita quotidiana degli esseri umani.Il primo lavoro retribuito è la documentazione di uno spettacolo teatrale nel carcere femminile di Rebibbia, per diversi anni documenta il teatro, da quello sociale nei penitenziari, per i diversamente abili, a quello contemporaneo.
Per due anni consecutivi è stato finalista al premio Hystrio Occhi di Scena.
Nel 2005, insieme al fotografo Pierpaolo Verdecchi, documenta per il Comune di Roma la vita quotidiana dei migranti nella capitale, ne nasce una mostra alla Sala Santa Rita di Roma e una pubblicazione dal titolo “A sogni aperti”.
Nel 2007 una selezione di queste immagini viene ospitata presso San Pietro Scheraggio agli Uffizi di Firenze per i Fratelli Alinari.
Nel 2008 vince il premio al Toscana Foto Festival con il lavoro “Morale della Favola” una ricerca della Resistenza nella Tuscia. Nel 2009 con lo stesso lavoro è finalista al premio Kiwanis, Portfolio Italia ed espone al Cifa a Bibbiena, sempre lo stesso anno vince il premio Sud Est ed espone al Fotografia-Festival Internazionale di Roma.
Nel 2011 è finalista al Premio Unicef Poy con “Cojimies”, un racconto sulla vita quotidiana di un piccolo villaggio in Ecuador ed espone al Mia, Milano Image Art Fair con “Il circo Harryson”
Nel 2012 viene invitato a una collettiva “Sguardi di un paese in crisi” a Citerna Fotografia e vince la borsa di studio G. Tedde con il lavoro “Cojimies”.
Nel 2014 vince il premio Castelnuovo Fotografia con il progetto “Borders #0”, un progetto paesaggistico sull’isola di Lampedusa, che verrà esposto l’anno successivo sempre a Castelnuovo Fotografia, con un’installazione interattiva curata da Gaetano Crupi.
Nel 2015 espone a Rovine, la forza delle rovine a Palazzo Altemps, accanto a maestri della fotografia internazionale.
Nel 2017 partecipa a una collettiva dal nome Feeling Home presso al Fabbrica del Vapore a Milano.
Nel 2018 è invitato al Med Photo Fest, esponendo il lavoro “Suleymaniye Otopark”, che racconta la vita di profughi siriani nei pressi della moschea di Suleymaniye a Istanbul, lo stesso lavoro diviene un libro dal titolo “Estremo Umano” edito da La Camera Verde.
Nel 2019 vince il premio “Crediamo ai tuoi occhi” con il lavoro la Settimana Santa in Sicilia e pubblica il libro con lo stesso titolo ed. Fiaf, vince il premio 1801 passaggi del Mavi e riceve una menzione d’onore al Unicef Poy 2019 .
Attualmente vive a Catania dove porta avanti ricerche a lungo termine nella regione siciliana.