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Politically Correct, cattive maniere e genio umoristico: un caso studio

Il Politically Correct è censura o democrazia linguistica? E cosa succede quando entra in gioco l'umorismo? Un piccolo caso studio.

by Filippo Guidarelli
6 Agosto, 2021
in Società
5 min read
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Una o due volte l’anno ci ritroviamo con una decina di ex compagni di università. Abbiamo tutti studiato antropologia, qualcuno ha fatto anche il dottorato, praticamente nessuno è rimasto nell’ambiente accademico. Ora formiamo quello che si definirebbe un vero salotto radical: maestre, insegnanti, imprenditori, operatori e operatrici sociali e culturali. 

Con questa truppa di solito affittiamo una casa per un fine settimana, d’inverno nell’Appennino e d’estate verso il mare, ma preferibilmente in poderi che distino qualche chilometro di sterro dal primo centro abitato, un retaggio del fricchettonismo universitario. 

In queste occasioni si uniscono, o ci raggiungono per una cena, fidanzati e fidanzate più o meno storici, a volte nuove fiamme. Stavolta c’è anche Kappa, una consulente legale tedesca sui quaranta, fresca compagna di Esse. 

È questo il Politically Correct?

Kappa è riservata ma si trova abbastanza a suo agio nel clima goliardico e sboccato di un gruppo affiatato, anche se per lei estraneo, e dopo una mezza giornata di mare, spese e cucina collettiva, il convivio del venerdì sera è animato. 

A un certo punto, la pancia piena di birra richiama alla mente di Effe la vecchia battuta di un nostro compagno di università: “Siamo così sfortunati che se ci casca il cazzo ci rimbalza in culo”, che strappa una risata generale e a qualcuno, tipo a me ma non solo, un po’ più forte. (Nota: Effe e io siamo gli unici maschi, etero, bianchi ecc.)  

Subito tutti, o comunque non solo io, sembriamo in preda al bisogno improvviso di spiegare perché troviamo la battuta divertente. Effe, che l’ha tirata fuori, sente il dovere di spiegarla bene a Kappa. 

Effe si impegna dunque in una impeccabile traduzione inglese, coadiuvato da Esse che lo supporta in tedesco, ma su Kappa il joke sembra non sortire effetto alcuno: la ragazza contempla le parole come guarda Nino Frassica chi cerca di capirlo. Effe allora insiste, ma presto si inerpica lottando contro il timore inespresso di star ferendo in qualche modo Kappa.

Un celebre convitato di pietra si è finalmente seduto a tavola, minacciando la conversazione con una specie di paralisi autoindotta. È questo il Politically Correct?

Due combattenti per la libertà: Mario Adinolfi e Simone Pillon.

Perché farebbe ridere?

“Siamo così sfortunati che se ci casca il cazzo ci rimbalza in culo” fa ridere per la scena surreale che disegna. Per trovarla divertente non serve conoscere l’esperienza fisica che delinea: per ridere non serve avere un cazzo, non serve esserselo visto cadere in mezzo ai piedi né tantomeno rimbalzare in culo. La comicità della storiella sta tutta nella sua implausibilità e questo umorismo privo di concetto ha sulle persone un esito brutalmente binario: o fa ridere o non fa niente. Il secondo caso è stato quello di Kappa.

Inoltre, questa specie di microallegoria della iella è un’intera storia condensata in un due istanti: un universo dove si perde qualcosa di proprio, che diviene ostile e torna a farci danno. Ci sono i contorni di una trama biblica, di un dramma shakespeariano, o di un film di zombie. O forse il significato, come più prosaicamente recita la morale frusta di un vecchio proverbio, è solo: “Oltre il danno la beffa”. Ma che beffa è prenderlo in culo? 

La problematicità della battuta sta tutta nella seconda parte sodomitica, benché essa non sia il centro della scena: questa serve all’economia del microracconto solo per il fatto che nel sesso anale, almeno in linea di principio, la penetrazione avviene da dietro. Essere presi alle spalle è essere fregati, e l’aspetto negativo dell’esperienza descritta dalla battuta sta nel tradimento, nel rimbalzo sfortunato che prende alla sprovvista, più che nel presunto male insito nella penetrazione anale. 

Sì ma perché proprio in culo?

Dopodiché, è vero che l’immagine rimanda a un sistema di valori maschilista — magari contadino se, come sembra, si tratta di un detto popolare — che usa il sesso anale (passivo) come emblema dell’esperienza negativa (maschile). 

Chi ha un approccio più radicale alla democrazia linguistica, o al Politically Correct, a seconda di come la si vede, trova nello scherzo un germe di maschilismo che, attraverso la ripetizione e la codifica in forme canonizzate, rafforza, riproduce e perpetra il sistema di valori e di potere che fa da sfondo alla battuta. 

Se da un punto di vista teorico questa critica ha un suo fondamento, poi la realtà è decisamente più fluida di una tesi di laurea e, nella vita quotidiana, solo una parte dei comportamenti può rispondere a dei principi. In più, ogni scelta o azione ha sempre una quota di implicazioni impreviste. 

Paola Egonu, secondo alcuni una portabandiera della dittatura del Politically Correct. 

Con l’opzione censoria ci si potrebbe sbarazzare di decine di scherzi o tic linguistici inaccettabili perché gratuiti (“Mi hai toccato il culo? Che sei, frocio?”), ma in casi come questo, per frenare la diffusione di un pregiudizio sessista che vede con dileggio — se non con disprezzo — l’essere omosessuali, in un mondo che ha come unico protagonista un (solo) maschio eterosessuale, si ostacolerebbe la circolazione di una storiella dai diversi livelli di lettura, che possono essere usati per dare senso alle circostanze della vita. Per giunta, la battuta si regge anche su un gusto del comico e dell’assurdo semplici e potenti — primordiali come la saggezza dei detti popolari — che andrebbero perduti. 

E insomma?

I valori e le connotazioni delle parole nascono, sfumano e muoiono, com’è giusto e naturale che sia. L’importante è custodire i lampi di intelligenza e creatività, soprattutto quando nascono dalla cultura non istituzionalizzata o professionalizzata, che proprio per la sua provenienza popolare è sempre considerata indietro. 

Una buona battuta non dovrebbe mai essere censurata o evitata, perché è sempre veicolo di intelligenza. È molto difficile definire quali caratteristiche rendano buona una battuta, ma in un mondo ideale, la capacità di riconoscere e quindi far circolare buone battute e buone storie, e con esse acume e conoscenza, dovrebbe essere considerato un indicatore fondamentale della salute di una società.

(A scanso di equivoci, non c’è stato nessun incidente diplomatico con Kappa, che oltretutto era reduce da un brutto infortunio causato due giorni prima da uno skipper imbecille, che versandole ammoniaca non diluita sopra il pizzico di una medusa le aveva provocato un’ustione terrificante a un braccio. La poveretta era un po’ frastornata.)

Tags: Politically Correct
Filippo Guidarelli

Filippo Guidarelli

Filippo Guidarelli è nato a Siena nel 1982 e lavora come redattore per ARA edizioni, come editor per LUISS University Press e come copywriter per Dinamo Digitale. Co-fondatore e autore di Eccetera magazine, negli ultimi anni ha scoperto di preferire Proust a Hemingway e l'hip hop al punk rock, mentre per la pesca in mare e per Lanzarote non trova – né cerca – alternative.

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