L’umidità gelata che sale dal fiume si aggrappa all’asfalto di ponte Druso come una membrana, che brilla sotto la luce dei lampioni. Camminiamo facendo attenzione a non scivolare. All’apogeo della campata il viale si srotola davanti ai nostri occhi. La lama d’asfalto incide la pelle della città dal centro alla periferia. Alle due di notte di un qualsiasi giovedì siamo le uniche persone ancora in giro. C’è un tale silenzio che entrambi crediamo di udire il ticchettio dei semafori che, disattivati, lampeggiano di luce gialla nel buio. Nessuno di noi osa confessare all’altro l’allucinazione uditiva, ma siamo sicuri della nostra sensazione. I semafori battono il ritmo della nostra camminata notturna. Ci accompagneranno fino a casa.
Di tanto in tanto una folata di vento fa crepitare le foglie secche che si rincorrono sull’asfalto. Soffia tramontana in questa notte. Ha spazzato le nuvole e seccato l’aria. La luna rischiara il cielo notturno, punteggiato di stelle. La volta celeste appare, nel nitore di questa notte d’inverno, vicinissima. Potresti, se volessi farlo, allungare una mano e toccarla, perché è davvero lì, a portata di mano, incombe come una presenza sul mondo.
Raccontami la storia di Chico, gli chiedo passando la canna che stiamo fumando. Chico, mi risponde, era un punkabbestia. Era il miglior amico del fratello di una ragazza con cui stavo qualche anno fa. Chi? gli chiedo. La Esther mi risponde lui. Ma non è questo il punto. Chico, continua, non era uno che passava inosservato. Alto, robusto, una cascata di rasta impreziositi da bulloni e quel look cyberpunk che andava, al tempo, tra chi era solito frequentare i rave. Non lo ricordo minimamente, interrompo. Eppure giravamo insieme, devi averlo visto per forza. Ti ripeto, non era uno che passava inosservato. Comunque Chico, dice lui riprendendo a raccontare, Chico era matto come un cavallo. Pensa che una volta mi dissero che aveva passato un’intera serata da Ciano a far svolazzare un butterfly. Se ne stava lì, appoggiato in un angolo, facendo andare questo coltello avanti e indietro. Clic. Clac. Clic. Clac. Così per tutta la sera, gli occhi velati dagli occhiali da sole. Avresti potuto scommetterci che là dietro avesse una faccia da matto che la metà bastava. Oppure gli stava scendendo qualche cala. Vai a saperlo. Chico cazzo. Che sbroccato. Avevamo tutti timore di lui. Quando te lo trovavi accanto, e a me non è capitato spesso, potevi avvertire la tensione salire. Era come se la sua presenza elettrificasse l’atmosfera, come se l’aria si rarefacesse fino a farsi solida. Emanava violenza. Era una rissa in potenza. Sapevi che poteva scatenarsi in qualsiasi momento. Stargli vicino anche solo una ventina di minuti era estenuante come una salita in montagna. O almeno era così per me, dice voltandosi in modo impercettibile, come se Chico potesse apparirgli d’improvviso alle spalle per chiedere conto del suo giudizio. Poi riprende a parlare. Una sera lo fermano gli sbirri, è questa la storia che volevi sentire no? Sì gli faccio io, quella della questura. Bene, una sera, è estate, fa caldo e Chico si annoia, quindi decide di uscire a fare qualche pinna col motorino. Era famoso, quel Booster. Lo potevi sentire a due isolati di distanza tanto era rumoroso e se ti passava davanti, be’, te l’ho detto, Chico non era uno che passava inosservato. Aveva dipinto le carene con colori fluo. Sembrava un cazzo di disco volante quel motorino e non sto a dirti quanto filava. Ti dico solo che se la faceva tutta su una ruota sola, la strada sotto casa sua. E quella sera era particolarmente in forma. Andava avanti e indietro così, impennando. Be’, non poteva durare, questo è chiaro. E infatti a una certa arriva una volante. Sono sbirri in servizio notturno. Fa un caldo fottuto quella notte. Era il 2003, una delle estati più calde del decennio. Me la ricordo, faccio io, stavo a Berlino. Faceva così caldo che l’asfalto si squagliava e dovevo pulirlo ogni sera dalle ruote dello skate. Ecco, sì, quindi hai presente quanto potrebbero essere amichevoli due sbirri in servizio notturno, costretti a lasciare la garitta climatizzata per rispondere alla chiamata di qualche vecchia insonne che si lamenta di un motorino che fa fracasso sotto la sua finestra. Per nulla, dico.
Già, fa lui, per nulla amichevoli. Difatti si piazzano di traverso alla strada, per bloccare Chico. E ce la fanno. Chico li vede. Molla la manopola dell’acceleratore, fa scendere la ruota davanti e frena. Gli sbirri gli si fanno sotto, belli incazzati, e Chico li pesta. Bum. Te lo giuro, Chico li pesta. Al punto che quelli chiamano i rinforzi. Arriva una seconda volante. Altri due sbirri scendono dalla macchina e Chico, beh, Chico pesta anche quelli. Quindi, mi intrometto, che succede? Quindi, fa lui, spazientito dalle mie interruzioni, quindi ne arriva una terza. Di volante?
Sì, una terza volante. Ci vogliono tre volanti e sei sbirri per fermarlo. Alla fine ce la fanno. Un po’ contusi, ma ce la fanno. Lo caricano dentro una delle auto e filano via a sirene spiegate, fino in questura, che poi è qua dietro, fa lui voltandosi a guardare verso il ponte, che ormai sta per sparire dietro all’angolo delle case, dove c’è, appunto, l’edificio della questura. Quando entra là dentro, Chico sa che quella volta non la passerà liscia. L’ha fatta troppo grossa e poi, così dice la leggenda, nelle mutande ha qualcosa. C’è chi dice fosse erba, chi coca, qualcuno addirittura m’ha parlato di trip. Insomma, Chico si deve disfare delle prove, capisci. Perché per strada era una bestia. Gli sbirri mica ci sono riusciti a perquisirlo. Ma adesso è solo. È in questura. Non può picchiarli tutti. Allora ci prova. Ci prova?
Sì, ci prova. In che senso, ci prova?
Ci prova, cristo, ci prova a salvarsi il culo. Chiede di andare in bagno e Chico, be’, Chico sapeva essere convincente. Non solo gli sbirri gli dicono vai, vai a pisciare gli dicono, ci vediamo dopo tanto. Ce lo mandano da solo. Gli indicano un bagnetto in fondo al corridoio e Chico ci va. Chiude la porta e la nota subito. È una finestrella, una finestrella senza sbarre. Chico quasi non ci crede. Quegli sbirri coglioni lo hanno mandato da solo in un bagno con una finestrella senza sbarre. Non ci pensa un secondo. Si aggrappa al telaio con tutto il suo peso. I braccetti d’alluminio si piegano. Chico strappa la finestra dall’infisso. Ora non c’è più nulla tra lui e la libertà. Sale sul cesso e si infila nel varco. È agile, Chico, sa come far passare il suo corpo da un pertugio. L’ha fatto mille volte e quasi sempre non era per un motivo legale. Così è fuori dalla finestra. Si cala nel cortile ed esce veloce dalla questura, dileguandosi nella notte. Non lo hanno più trovato. Non lo hanno più trovato? Giuro, mi fa passandomi il mozzicone della canna. Succhio gli ultimi tre tiri con avidità. Il sapore acre del filtro che inizia a bruciare mi stringe la gola. Avverto un conato risalire lungo l’esofago. Lo reprimo mentre una folata di vento si fa strada attraverso la sciarpa, fino al coppino. Un brivido mi scuote. Quella notte è tanto splendida da farmi male.
© 2021 Eccetera – Un magazine per approfondire. Senza sprofondare.
Associazione Culturale Eccetera – P.iva/c.f: 01510330523
Eccetera magazine non è una testata giornalistica, ma un archivio di testi e riflessioni personali privo di periodicità. Pertanto non può essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.
Email: ecceteramag@gmail.com