Come succede spesso con la tecnologia che si promette innovativa, se non dichiaratamente rivoluzionaria, meno è definito l’ambito di cui si parla – perché si è agli albori, o perché “fa bene ai mercati” –, più facilmente si comincia a usare nomi dal campo semantico ampio e ambiguo. La creatività tecno-collettiva in questi casi agisce per vie misteriose se non misteriche, ed è frequente attingere all’immaginario della fantascienza, come a voler dare un corpo vivo alle ipotesi letterarie dei pionieri dello sci-fi e legittimare così la next big thing con la necessaria aura del brand. Così è successo anche per “metaverso”: trent’anni fa appariva per la prima volta il termine nel romanzo di Neal Stephenson Snow Crash, a indicare uno spazio virtuale dove le persone esistono e interagiscono in modo simultaneo, immersivo e “concreto” ma – ironia senza pudore del venture capitalism –, l’America di Snow Crash era vessata da una forma degenere di economia post-capitalistica, di cui il metaverso, la rete in 3d, è la doppia ambientazione in cui i personaggi interagiscono tramite avatar.
Nel 2021 il termine metaverso diventa un trend topic nelle ricerca su Google con un’impennata a palo della luce nella settimana tra il 13 e il 21 aprile, quando il grande player del digitale Epic Games, dopo precedenti dichiarazioni stampa in cui si diceva ben deciso a presidiare il futuribile mercato del metaverso, ha ricevuto circa un miliardo di dollari in finanziamenti.
We are grateful to our new and existing investors who support our vision for Epic and the Metaverse. Their investment will help accelerate our work around building connected social experiences in Fortnite, Rocket League and Fall Guys, while empowering game developers and creators with Unreal Engine, Epic Online Services and the Epic Games Store.
Questo il commento di Tim Sweeney al finanziamento miliardario ricevuto dalla sua azienda.
Nel concreto, dire metaverso oggi significa dire molte cose ma niente di ancora definito, ed è in questo clima di mistero che le attese crescono fervide: realtà virtuale e aumentata rientrano nel campo largo del metaverso, così come maneggiare criptovalute o partecipare a incontri virtuali con un avatar personalizzato, oppure “giocare” su Fortnite o Animal crossing è qualcosa di simile a quello che ci si immagina essere il tipo di esperienza online più diffusa in un futuro ipotetico. Se hai a che fare con qualcuna di queste attività sarai sicuramente un nativo metaversiano.
Ma il metaverso non è né un gioco né un prodotto; sarà invece probabilmente tutto quello che ci sta intorno, l’infrastruttura di rete dominante del domani, il figlio divino della già quasi divina internet. Metaverso quindi non è qualcosa che accadrà di punto in bianco, che entrerà nel mercato dopodiché diremo “ecco il metaverso”, ma è qualcosa che, stando alle parole dell’amministratore di Epyllion Industries nonché influente analista tecnologico, Matthew Ball, “Emergerà gradualmente, nel tempo, sotto forma di differenti prodotti e servizi e grazie alla capacità di unirli e integrarli insieme”. Ball parla in sostanza di una architettura di rete che permetterà delle esperienze immersive e continue a livello sociale, economico, lavorativo e di intrattenimento; una meta-versione della realtà onlife per come la conosciamo oggi e in cui ci sarà “un’interoperabilità senza precedenti di dati, oggetti/risorse digitali, contenuto e così via”. Prima di tutto, insomma, bisogna “credere”, ma a differenza che nelle religioni messianiche vedremo arrivare qualcosa di grande o piccolo, senza dubbio.
Tim Sweeney, già nel 2020, aveva lanciato la sua profezia tecno-utopica sul futuro della rete auspicando con forza la natura interconnessa della nuova economia digitale del metaverso, in cui non avremo a che fare con servizi separati in differenti piattaforme ma con un ecosistema di servizi cross-plattform, in chiara controtendenza rispetto agli attuali assetti monopolistici di Apple e Google. E’ su questo terreno che Sweeney combatte dal 2017 la battaglia contro i monopoli degli store di applicazioni, fino a quando, nell’agosto dello stesso anno, dopo aver aggiunto una funzionalità che permetteva agli utenti di evitare i sistemi di pagamento Apple, Fortine viene rimosso quasi immediatamente dallo store. Ne segue una causa di Epic a Apple nel cui contesto, con un recente aggiornamento del 23 settembre, si conferma l’estromissione di Fortine dallo store fino alle fine del processo; ma questa è una storia parallela anche se è evidente che su questi temi si gioca la partita politica ai piani alti del palazzo.
E Facebook?
Il turno di Zuckerberg di parlare alla tavola del metaverso è venuto lo scorso 22 luglio, in un’intervista per The Verge in cui ci ha rilasciato la vision di come Facebook vorrà presidiare il futuribile mercato.
Dal giorno seguente Google registra un’altra impennata di ricerche per “metaverse+facebook”.
Su The Verge non è mancato l’ottimismo delle grandi occasioni (“We tend to really celebrate things that are big, right?”, ci mancherebbe Mark se non vogliamo festeggiare, facci sapere) e nemmeno si è perso occasione per fare la semina di neologismi promettenti e terribili come “infinite office” (“So I think for focus time and individual productivity, I think being able to have your ideal setup, we call this “infinite office.”); il tutto nel clima da pacche sulla spalla in cui è facile immaginarsi Zuck sorridere a ogni pausa, ma solo con uno dei dodici muscoli della risata, per ottimizzare le risorse. Ecco, devo ammettere che quando lo vedo, o lo leggo nei panni dell’evangelista con la pace nel cuore, provo lo stesso brivido corticale di quando un serpente attraversa la strada e ci passo sopra con la macchina. Capito quale? Ma lui è così, non va bullizzato.
Nel concreto invece, le prime applicazioni del metaverso facebook verranno testate nell’ambiente Horizon Workroom, un’app in realtà virtuale fruibile attualmente tramite Oculus in cui gli utenti possono condividere il loro laptop e lavorare, felici. A volte la vita è così semplice e fantastica. Nelle intenzioni attuali di Mark, metaverso servirà quindi “solo” a dare sfogo alle vocazioni cyberpunk di quelle aziende che sognano un flusso di lavoro infinito, immersivo e persistente e chiaramente “bellissimo” (come diceva Trump: “I nostri test per COVID19 sono Bellissimi”): qualcosa a cui sarà difficile rinunciare, come tutta l’ICT da sempre, sai che novità.
Abbandonare il corpo, rilasciare le membra.
Per dare una definizione completa dello stato dell’arte metaversiano il quadro da tratteggiare sarebbe certamente più esteso e serio, e ne danno conto i moltissimi articoli rintracciabili online, utili anche per chi come il sottoscritto guarda il gaming, il vr, le criptovalute, i razzi su marte, il biohacking e via dicendo con la curiosità dell’umanista naufragato che si tiene a una certa distanza alzando il sopracciglio, per passare in breve tempo oltre, verso il nuovo romanzo in cui vivere nascosto. (Ognuno d’altronde ha le sue passioni e dopo una dura giornata di lavoro vuole difenderle: è per questo che siamo un grande Paese).
Alla luce dei molti annunci e della poca sostanza, sono quindi giunto alla serena conclusione che domandarsi cosa diventerà il metaverso, qualunque delle Big consorelle-tech se ne accaparrerà il dominio, è un po’ come speculare sul Punto Omega, davvero ganzo ma poco utile. Utile semmai, ’sto metaverso di Facebook dove si lavora e basta, sarà al prossimo lockdown, quando ci sarà da tenere duro, noi bianchi ricchi.
Ma vorrei davvero mettere a tacere il mio luddismo sospetto per pensare un po’ meglio all’idea di una dimensione lavorativa metaversiana che, più che liquida – dopo Baumann anche la Tari è liquida –, la vedo assai gelatinosa: ci siamo dentro, insieme ai colleghi, in forma di avatar e lavoriamo entusiasti in 3d rilasciando massicce dosi di feromoni tecno-utopici. Chi potrà permetterselo comprerà un’immagine realistica e autenticata in blockchain di sé – è già possibile farlo, così come sarà possibile indossare scarpe di Gucci o vestirsi Balenciaga, e lo dico solo ai retro-umanisti come me –, per distinguersi e riconoscersi; e così via, verso le complessità sempre maggiori e imperscrutabili.
Mi sono venuti in mente, per analogia, i primi mesi di lockdown, quando si sperimentava l’iperattivismo lavorativo da remoto, attaccati come s’era al flusso continuo di messaggi di testo, notifiche dei push degli sviluppatori, notifiche di commenti fatti su altri commenti di un documento condiviso e pieno a sua volta di commenti. Per un po’ ci siamo anche esaltati nel (tentare di) gestire quell’assurda situazione così precaria, ci siamo anche detti che tutto sommato si era stati in gamba a impazzire su slack/trello/bitrix/whatsapp/email salvando la produttività: immolati alla causa con un horror vacui grande come il buco dell’ozono sopra l’Antartide nel 2011.
Penso che sarei in qualche modo esaltato anche da un lavoro nel metaverso, del tutto immerso in un operoso mondo ricostruito in 3d, ma a una sola condizione: che tutto fuori andasse di nuovo, o inaspettatamente come in effetti non ho mai visto, allo sfascio. Allora potrebbe avere senso mettersi il caschetto, rilasciare le membra come in Matrix, dimenticare il corpo, essere solo mente e azioni astratte, per sfuggire al Grande Vuoto, ma quello Vero. In alternativa è difficile non pensare che sarà proprio il “lavoro metaverso”, per come lo vede Mark, a far segnare al capitale l’ennesimo punto, fondamentale, nella partita per l’erosione degli spazi sociali vivi.
In attesa di saperne di più è consigliabile continuare a vivere nascosti ascoltando quel buon disco dei 24 Grana che si chiama Metaversus.
Buongiorno, e allora?
Nel metaverso, 24 Grana
Le uniche difficoltà ad entrare nel giovane nuovo mondo possono essere di carattere personale
ingenuità sensibilità fantasia sono finalmente tollerate
potenziamento del bagaglio emotivo
up-gradazione della vostra libertà individuale
estensione delle facoltà sensitive
tutto può dipendere ora dalla vostra volontà
me chiudo tutta ’a rrobba mia
ccà sulo smanio e me ne ascì
muto e torturato, ’mbastardisco ’ncatenato
tengo a collera e chi è stato
troppo tiempo a se capì