Una notte, mentre percorrevo la Siena-Firenze per tornare a casa, nel tratto più buio che va da Monteriggioni all’uscita di Badesse, dove il bosco si affaccia sulla carreggiata fermato solo dal guardrail, ho visto improvvisamente ballare nel vuoto due biglie luminose, che sembravano minuscoli fanali. Solo a un metro dall’impatto, si è delineata chiaramente la figura di un giovane capriolo, immobile e totalmente ignaro delle conseguenze che di lì a qualche secondo avrebbero creato a entrambi, non pochi problemi. Per un soffio sono riuscito a scansarlo, sbandando a sinistra, per poi recuperare il controllo del veicolo.
Istintivamente mi sono voltato e l’ho visto ancora lì, ostinato sulle zampe, ad annusare la notte, mentre la sua sagoma diventava sempre più piccola nello specchietto retrovisore, fino a scomparire del tutto dietro una curva.
Nel libro di Andrea Buzzichelli, Inhabitants, c’è una fotografia che mi fa pensare, per certe strane ragioni, a quell’incidente mancato.
Due daini si aggirano in quella che potremmo immaginare come una radura, o uno spazio aperto al limitare di un bosco. Non abbiamo alcun appiglio che possa farci collocare geograficamente le due bestiole, resta solo l’impressione di una vegetazione confusa ai loro piedi e la tenda nero pece di una notte senza luna.
Il flash smaterializza la testa dei due mammiferi e accende gli occhi come globi fiammeggianti, che irradiano una corona ballerina di luce.
Sguardi Selvaggi
Quello sguardo così alieno, così “altro”, rispetto al contemplare, osservare, rimirare umano, colto di sorpresa nel momento della sua massima forza espressiva, nella dimensione dell’“aperto”, selvatico e selvaggio, che la natura di notte sa celebrare, somiglia terribilmente al mio ricordo e ha un legame intrinseco credo, con le parole di John Berger nello stupefacente capitolo (Perché guardare gli animali?), che apre il saggio Sul guardare (1980).
Quando sono intenti a esaminare un uomo, gli occhi di un animale sono vigili e diffidenti. Quel medesimo animale può benissimo guardare nello stesso modo un’altra specie. Non riserva uno sguardo speciale all’uomo. Ma nessun’altra specie, a eccezione dell’uomo, riconoscerà come familiare lo sguardo dell’animale. Gli altri animali vengono tenuti a distanza da quello sguardo. L’uomo diventa consapevole di se stesso nel ricambiarlo. L’animale lo scruta attraverso uno stretto abisso di non-comprensione. Ecco perché l’uomo può sorprendere l’animale. Eppure anche l’animale – perfino se è domestico – può sorprendere l’uomo. Anche l’uomo guarda attraverso un simile, ma non identico, abisso di non-comprensione. Ed è così ovunque egli guardi. L’uomo guarda sempre attraverso la propria ignoranza e la propria paura.
J. Berger, Perché guardare gli animali?, in Sul guardare
Ma qui l’uomo non c’è, è lontano, al sicuro e l’animale, esprimendo pienamente se stesso, detta lo scarto fra quello che crediamo di poter controllare e la reale essenza della natura.
Fototrappole
La serie fotografica realizzata dal Buzzichelli (con la curatela di Steve Bisson) nel 2015, nasce dallo stimolo del collettivo Synap(see), a cui appartiene, di indagare il rapporto che intercorre fra l’uomo contemporaneo e il proprio spazio (nello specifico il territorio italiano), dandosi, di anno in anno, tematiche differenti che ogni membro potrà sviluppare secondo la propria attitudine.
Andrea decide di concentrarsi sul Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e, dopo alcuni sopralluoghi preliminari, sceglie, per assemblare il lavoro che ha in mente, un approccio moderno vicino alla fotografia concettuale: il prelievo archivistico. Estrapola dai database del Corpo Forestale dello Stato e dell’associazione Canilupus una selezione di immagini prodotte per mezzo di foto-trappole, piazzate al fine di monitorare la fauna selvatica. Le fotografie vengono rifilate, manipolate e ri-contestualizzate: alcune situazioni vengono isolate conferendo alle composizioni maggior equilibrio, di altre viene accentuata la carica enigmatica, altre ancora vengono prodotte ex novo dall’autore, mantenendo la stessa atmosfera, per dare una visione più ampia e suggestiva di questi teatri notturni estemporanei.
Nel farlo, il fotografo toscano omaggia dichiaratamente George Shiras III, il padre della fotografia naturalistica, con le sue stupefacenti visioni notturne. Del grande reportagista della Pennsylvania, rievoca il bianco e nero dai contrasti violenti (dato allora dal lampo al magnesio) e l’incertezza seducente, per quanto riguarda il risultato, delle camera traps, che traggono la loro maggior efficacia da quell’inconscio tecnologico tanto caro a Franco Vaccari. Ma si spinge oltre: dove Shiras, con sguardo curioso e intento divulgativo, mostrava un lato inedito del mondo degli animali, Buzzichelli con occhio inquieto, coerente con il nostro tempo, racconta una strana dimensione, che sembra in bilico fra il nostro mondo e un altro, dove regnano entropia e istinto.
Animali Notturni
Inhabitants è un viaggio ai giorni nostri, nel lato primitivo del mondo, che non contempla la presenza degli uomini e si sviluppa in parallelo a essi, lasciandoli il più delle volte ignari di ciò che accade.
Quando Austin Wright nel suo romanzo Tony & Susan, parla di animali notturni, seppur riferendosi a esseri umani, intende creature imprevedibili, rapaci, pericolose nel loro tendere all’esclusiva soddisfazione di istinti primordiali.
Qui succede lo stesso. La notte si anima, si satura di rumori, che si sommano uno all’altro, come strumenti di un ensemble aggiunti progressivamente, all’interno di una partitura musicale, fino a formare un unico tappeto elastico di sensazioni. La vita brulica convulsa, come un formicaio attaccato da un predatore, i lupi scivolano fra le foglie simili a spettri, bande di cinghiali migrano rumorose in cerca di cibo, un cervo di vedetta sopra un’altura, diventa una statua di granito dagli occhi scintillanti.
È qui che lo sguardo animale confonde l’uomo, perché è sufficiente a se stesso, perché non si può decifrare dietro le sciabolate del flash, che lo trasforma in luce bianca, pura, senza luogo e senza tempo.
Danze nel buio
Più avanti nel suo testo Berger ci ricorda questo:
Gli animali sono l’oggetto del nostro sapere in costante ampliamento. Ciò che scopriamo di loro è un indice del nostro potere, e dunque un indice di ciò che ci separa da loro. Più li conosciamo, più sono distanti.
J. Berger, Perché guardare gli animali?, in Sul guardare
La notte dei boschi e delle foreste, la vita che pulsa dentro, ci lascia smarriti; lo scarto fra noi e loro, quell’abisso reciproco di non-comprensione, ci arriva prepotente e ambiguo; la danza di un essere che si muove con disinvoltura nel buio, somiglia tanto a certi incubi che facevamo da piccoli. E quello che abbiamo imparato dagli animali, stanotte, non sembra poi tanto innocuo.